Vita delle Sante
Tibia Perpetua era una giovane e nobile donna di Cartagine, intelligente e istruita, sposata e madre di un bimbo di pochi mesi. Felicita, figlia dei suoi servi e sua ancella, era anch’essa sposata e in stato di gravidanza. Felicita e Perpetua, insieme a Saturnino, Secondulo e Revocato, furono fermati per un ordinario controllo di polizia ed arrestati una volta scoperta la loro fede cristiana. Ricevettero il sacramento del battesimo mentre erano agli arresti: «Lo Spirito mi ha suggerito di impetrare dall’acqua nient’altro che la costanza della carne», scrisse Perpetua commentando quell’importante momento. La bambina attesa da Felicita venne al mondo tre giorni prima della data fissata per il suo martirio: «Come ti lamenterai allora, quando ti sbraneranno le belve?», le disse un carceriere durante i dolori del travaglio. «Quello che patirò allora non lo patirò io, ma lo soffrirà Gesù per me», gli rispose lei. Perpetua invece, come prova della sua incrollabile fede, ricevette in carcere la visita dell’anziano padre pagano, il quale, disperato per le sorti della figlia, la implorò di rinunciare alla sua fede e di rinnegarla per salvarsi. Le ricordò che il bambino aveva bisogno delle cure materne per convincerla ad apostatare. Ma Perpetua non ebbe dubbi e rispose al padre con coraggio e fermezza: «Sono cristiana e non posso chiamarmi con un nome diverso». Entrambe morirono nella convinzione assoluta di essere accompagnate da Cristo, vivo e sofferente insieme a loro.
Agiografia
Dal momento del loro martirio, la storia di Perpetua e Felicita viene narrata da un’altra mano, probabilmente quella di un testimone oculare del tempo, che pare si chiamasse Tertulliano. La scena è straziante, atroce e pregna di sofferenza, ma allo stesso tempo commuove per la tenacia e il grande coraggio mostrato dalle due donne. L’imperatore Settimio Severo, per festeggiare il compleanno del figlio, organizzò nell’arena di Cartagine uno spettacolo in cui alcuni cristiani vengono sbranati dalle belve feroci. Perpetua e Felicita, felici perché convinte di andare in Paradiso, avanzarono serenamente nell’anfiteatro andando incontro alla loro fine. Perpetua cantò un salmo. Prima di essere martirizzate, gridarono al procuratore Ilariano che presiedeva l’esecuzione: «Tu giudichi noi, ma Dio giudicherà te!». Felicita e Perpetua vennero entrambe sospese in aria con una rete, poi martoriate dalle corna appuntite di una mucca infuriata e poi uccise con una pugnalata alla gola. Un terribile sacrificio che non fu vano: il loro martirio riportò l’unità nella Chiesa cartaginese, in quel momento divisa da contrasti interni. La popolarità di Perpetua e Felicita si diffuse rapidamente e i loro nomi vennero inseriti nel Canone Romano. Il loro culto si è esteso al di là della tradizione latina, anche nella Chiesa greca e in quella siriana. I mosaici della cappella di Ravenna (cappella sant’Andrea), di sant’Apollinare Nuovo e della basilica di Parenzo (VI secolo) ci offrono le più antiche immagini delle due martiri. «O valorosi e beatissimi martiri! Voi siete davvero i chiamati e gli eletti alla gloria del Signore nostro Gesù Cristo».
Intervista impossibile di Monsignor Andrea Turazzi alle Sante
Quale crediate sia il contributo che il genio femminile, con la sua carica di sensibilità e di ispirazione, dà alla nostra società?
Perpetua: Come nel restauro degli affreschi antichi si deve scegliere fra un intervento interpretativo e un intervento conservativo, così avviene per voi, cari amici, nell’incontro con noi due: Felicita e io siamo donne vissute tra il II e il III secolo dopo Cristo. Difficile per voi figurarvi il nostro volto, capire il nostro tempo, il nostro percorso di vita. Voi sicuramente preferite il restauro conservativo e accontentarvi delle scarse notizie arrivate a voi, piuttosto che lasciarvi andare alle leggende e alle ricostruzioni fantasiose. Un dato è certissimo e comprovato: il nostro coraggio e la determinazione di appartenere interamente a Gesù, il Messia atteso anche dai nostri sapienti e dai nostri poeti. Chiarito questo punto, ci lasciamo andare a questo dialogo immaginario, ma non senza fondamenti… La nostra è una società profondamente in crisi. Si invoca qualcosa di nuovo. Lasciamo ai vostri studiosi le analisi critiche delle Passioni dei martiri, compresa la nostra. Testi comunque importanti: testimoniano il fervore spirituale nella giovane Chiesa di Cartagine e la forza della chiamata del Signore alla santità. Ancora oggi – nel tempo vostro – veniamo ricordate il 7 marzo di ogni anno, quando comincia a fiorire la primavera. Trovate il nostro nome persino nel Canone Romano, antica preghiera eucaristica, insieme alla memoria degli apostoli Pietro e Paolo e dei primi testimoni della fede cristiana. C’è una coincidenza, non sappiamo quanto possa essere pertinente: la nostra memoria cade nella vigilia della Giornata della donna che ormai si celebra pressoché in tutte le nazioni del mondo. Vi parrà impossibile che due donne vissute oltre 1.800 anni fa vi aiutino su una questione così importante per voi e in parte irrisolta: la questione femminile. Il clima culturale della nostra epoca non conosceva una “questione femminile”. A noi, tuttavia, è stato dato di respirare nel nostro tempo qualcosa di insolito, di bello e di rivoluzionario: la novità del Vangelo. Ci è stato ribadito: «Voi siete tutti fratelli» ed anche: «Non c’è più giudeo né greco, non c’è più né schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo». Il messaggio è stato percepito da noi come una promessa di liberazione, ma da altri come pericolo per l’assetto della società, una crepa nell’edificio sociale. Lascio la parola a Felicita…
Felicita: Sì, ecco due donne divenute sorelle: Perpetua la signora ed io la schiava! Insieme siamo state denunciate, e con noi altri fratelli, insieme siamo state sottoposte al ricatto più vigliacco che possa esistere: il distacco dai nostri figli. Poi, carcerate e condannate. Infine, il martirio con la condanna “ad bestias”: inflitto dalle autorità, ma in certo modo, scelto liberamente da noi. L’inserimento delle donne nella Chiesa dei primi tempi era cosa normale: rileggetevi, ad esempio, l’ultimo capitolo della Lettera di Paolo ai Romani; considerate le donne al seguito di Gesù e degli apostoli. Del resto, non è stato così anche per la mamma di Gesù, prima alla sequela di Gesù fino alla croce e poi vicina ai primi passi della Chiesa nascente?
Secondo voi in un mondo sempre più individualista e autoreferenziale ha ancora senso parlare di dono della vita e di sacrificio? E perché?
Perpetua: Lasciateci rispondere partendo da un testo biblico dell’Antico Testamento (in comunità lo si medita frequentemente insieme agli scritti del Nuovo). Si tratta di un testo dal Libro dei Giudici. Qui è protagonista Debora, una profetessa che si fa avanti per incitare alla resistenza verso gli invasori cananei capeggiati da Sisara. Barak, cui è stata affidata la difesa, tentenna, ha paura: «Se vieni anche tu con me – dice – andrò, ma se non vieni, non andrò». «Bene – replica Debora –, verrò con te, però la vittoria non sarà tua, il Signore metterà Sisara nelle mani di una donna». Ci sentiamo interpretate da questo episodio. Qui non appare solo il coraggio, ma una spiritualità aperta e partecipe alle vicende della comunità, non intimista. Vi ho già presentato Felicita: io sono una donna che viene da una famiglia raffinata e colta, Felicita mi è stata data come schiava. Ormai, ripeto, alla scuola di Gesù ci consideriamo sorelle, pronte ambedue a dare la nostra testimonianza: dall’acqua del Battesimo al sangue del martirio. Forse vi chiedete ragione di tanta vitalità nella Chiesa di Cartagine, nonostante le persecuzioni, ma noi ci domandiamo come possono vivere le vostre comunità di antica e solida tradizione senza persecuzioni.
Felicita: La notizia del nostro martirio ha avuto un’enorme risonanza. Di noi hanno scritto Tertulliano (il sangue dei martiri è il seme di nuovi cristiani) e il grande Agostino (non si ottiene nulla di permanentemente valido senza il sacrificio). Tertulliano, importante scrittore cristiano, e Agostino, grande pastore della Chiesa, sono entrambi africani! È il messaggio che vorremmo lanciare ai giovani del Terzo Millennio: amore e sacrificio vanno di pari passo: amare fino al dono di sé, accogliere il sacrificio per amore! Grazie per l’intervista che ci dà modo di rilanciare il messaggio.
Perpetua: Il martirio di noi due è un miracolo di Dio. Non avremmo mai pensato di essere forti e coraggiose sino a questo punto. Alla scuola di Gesù si impara ad amare ogni giorno, in ogni circostanza. Lo si fa con gioia, ma non senza sacrificio, dovendo rinunciare all’invadenza del nostro io e ai nostri egoismi.
Quali sono i legami capaci di generare solidarietà e sostenerci nella testimonianza di fede?
Felicita: Io e Perpetua abbiamo azzerato lo schema “padrona-schiava”, siamo davvero sorelle. Ci siamo sostenute a vicenda nei giorni della grande prova e preparate durante il cammino verso il Battesimo. Senza sminuire i rapporti famigliari abbiamo vissuto l’appartenenza al Signore e alla comunità in modo serio. Abbiamo accolto le parole di Gesù: «Chi ascolta le mie parole e le mette in pratica è per me fratello, sorella e madre».
Perpetua: E poi le altre: «Chi non mi ama più del padre e della madre, più dei fratelli e degli amici, non è degno di me». Abbiamo scommesso sulle parole di Gesù e non siamo deluse. In particolare, sulla promessa fatta al ladrone: «Oggi sarai con me in paradiso». Il paradiso… un dono per tutti! Anche per chi ci ha condannato a morte (del resto gli aguzzini dovevano obbedire ai loro superiori): è sufficiente credere alla misericordia di Dio. Il paradiso: là vedremo, là ameremo, là canteremo!
Qual è la strada per aprirsi ad un’autentica riconciliazione di fronte ad un’ingiustizia o una violenza subita?
Felicita: Non abbiamo né odio, né desiderio di vendetta. Il perdono umanamente è un’opzione difficile, qualche volta sembra impossibile. Ci hanno aiutato l’esempio e la grazia di Gesù. Nel periodo del catecumenato ci è stata riferita la parabola del chicco di grano caduto per terra che, apparentemente morto nel solco, dà vita. L’accento è stato posto non tanto sul morire, ma sul dare vita. È un insegnamento che vorremmo lasciare ai nostri figli. Ricorderanno le loro mamme come coraggiose testimoni di un mondo nuovo. Perdonare talvolta è come accettare di essere chicco di grano. Ci sono rapporti e cortocircuiti che fanno soffrire. Qualche volta è stato così anche tra noi…
Perpetua: Quando non si ha uno sguardo di misericordia, ben che vada subentra l’estraneità. L’offesa o l’errore commessi o ricevuti ci rendono estranei e inflessibili. Che inferno quando l’orgoglio ci impedisce di andare oltre noi stessi! Perdonare fa spiccare il volo sia a chi riceve il perdono sia a chi lo offre e nessuno resta nel senso di colpa. L’ingiustizia va affrontata e denunciata con coraggio e a caro prezzo. Il perdono non cambia il passato, ma apre al futuro!
Felicita: C’è un’esperienza che capita sicuramente anche a voi, quella del tempo “frammezzo”, cioè il tempo che scorre fra l’ingiustizia o l’offesa subita e la riconciliazione. Succede di vivere una sorta di blocco. Si aspetta e si soffre. È un tempo prezioso: può essere fecondato dalla preghiera e reso fertile dall’umiltà. Si offre e si prega per sé e per l’altro, in riparazione per la sofferenza causata o in intercessione per il fratello.
Perpetua: Le persecuzioni sono durate per secoli, la Chiesa è cresciuta, il cammino continua. Siamo con voi: il Signore ci ha dato di essere radici luminose che sostengono la vostra testimonianza e portano buoni frutti. Siamo una sola famiglia-Chiesa: voi che lottate sulla terra, i defunti che vivono la purificazione e noi che vi accompagniamo.
Segni iconografici distintivi
Sono ritratte spesso insieme, segno della loro sintonia perfetta, e con in mano la palma del martirio. Perpetua viene generalmente raffigurata con un libro o una pergamena in mano, che simboleggiano la sua fede incrollabile e il suo ruolo di testimone della fede cristiana. Felicita, invece, viene spesso raffigurata con un bambino in braccio, segno della sua maternità.
Tradizione gastronomica legata al culto
I “Dolcetti martiri” sono dei biscotti in pasta frolla friabile e delicata con intenso sapore di burro. La loro forma ricorda le martiri Perpetua e Felicita con le mani giunte in preghiera, simbolo della fede che causò il loro martirio. Sono fatti con ingredienti semplici: farina, burro, zucchero, uova, latte, pochissimo lievito e aromi naturali. Sono di dimensioni medio grandi e hanno un bel colore dorato, dovuto a una spennellatura superficiale di uovo fatta prima della cottura. Questi biscotti si mangiano tal quali o inzuppati nel latte a colazione: sono prodotti principalmente in occasione della ricorrenza delle martiri cartaginesi.
Curiosità
Il resoconto del loro martirio, gli “Atti di Perpetua e Felicita”, è uno dei più antichi documenti della letteratura cristiana latina. Parte dei racconti sono opera di Tertulliano, ma alcuni capitoli sono i diari di Perpetua stessa, redatti durante la carcerazione. Di questi Atti si sono conservate due edizioni, una in latino e l’altra in greco.
Preghiere a Sante Perpetua e Felicita
Santa Perpetua e Santa Felicità,
martiri coraggiose e fedeli testimoni di Cristo,
voi che avete affrontato il martirio con una fede incrollabile
e un cuore pieno di speranza,
intercedete per noi.
Donateci la forza di rimanere saldi nella fede
nei momenti di prova e difficoltà.
Aiutateci a vivere con amore e dedizione verso Dio,
come avete fatto voi,
accogliendo con serenità ogni sfida che la vita ci pone.
Voi che siete state madri e figlie devote,
insegnateci ad amare con generosità e a servire con umiltà,
rendendoci testimoni di Cristo in ogni nostro gesto.
Intercedete per tutte le famiglie,
affinché possano vivere nella pace, nella fede e nella gioia.
Santa Perpetua e Santa Felicità,
intercedete per noi presso il Signore,
che ci conceda la grazia di vivere la nostra vita cristiana
con la stessa forza e la stessa speranza
con cui voi avete affrontato il vostro martirio.
Amen.
(di Autore Anonimo)
O Dio,
che hai sostenuto le sante martiri Perpetua e Felicita
con la forza invincibile della tua carità
e le hai rese intrepide di fronte ai persecutori,
concedi anche a noi,
per loro intercessione,
di perseverare nella fede
e di crescere nel tuo amore.
Amen.
(di Autore Anonimo)
Fonti
- I santi del giorno ci insegnano a vivere e a morire, Luigi Luzi, Shalom Editrice.
- Il grande libro dei santi, dizionario enciclopedico diretto da C. Leonardi, A. Riccardi, G. Zarri, San Paolo Editore.
- I santi secondo il calendario, prefazione di Gianfranco Ravasi, edizioni Corriere della Sera.