Vita del Santo
Dell’Evangelista Marco si sa molto poco. Conosciamo qualcosa della sua vita grazie ad alcuni testi del Nuovo Testamento e alle testimonianze degli antichi scrittori ecclesiastici. Per colmare quanto manca a questi testi ci sono fonti posteriori, di ambito egiziano ed occidentale, le quali riferiscono dell’apostolato che avrebbe svolto in Egitto e nelle Venezie. Marco nacque da famiglia ebrea benestante. La sua discreta agiatezza economica gli permise lo studio dell’ebraico, del greco e del latino, nonché l’approfondimento della conoscenza della Sacra Scrittura e dei testi dei profeti. Marco non fu un discepolo del Signore, anche se la tradizione ha identificato l’Evangelista con il giovane che scappò via nudo durante l’arresto di Gesù. Di certo però, si sa che Marco fu al servizio di san Paolo. Poi, si mise al servizio di Pietro nella capitale, da cui pare abbia ricevuto il battesimo: tra i due, sembra ci fosse un’intensa amicizia e grande stima, sentimenti coltivati reciprocamente. In generale, Marco fu descritto come colui che ricoprì la figura dell’odierno “segretario”, uno scrivano fidato che ne trascrisse le catechesi, fonte preziosa per tracciare il suo Vangelo. Alla morte di san Pietro, Marco si trasferì ad Alessandria d’Egitto e ne divenne il primo vescovo. L’Evangelista Marco morì martire ad Alessandria d’Egitto. Così scrivono gli Atti di Marco del IV secolo: “Il 24 aprile venne trascinato dai pagani per le vie di Alessandria, legato con funi al collo. Gettato in carcere, venne confortato da un angelo ma il giorno dopo subì lo stesso atroce tormento e morì ”. Il suo corpo era destinato alle fiamme, ma venne salvato dai fedeli e sepolto in una grotta. Da lì nel V secolo fu traslato in una chiesa.
Agiografia
Il 31 gennaio dell’anno 828, le reliquie del santo, che si trovavano ad Alessandria d’Egitto, furono traslate a Venezia da alcuni mercanti, accolte dal doge Giustiniano Particiaco, in un’epoca in cui le reliquie rappresentano un potente aggregatore sociale ed economico. Il conseguente sviluppo del culto non fu continuo se non dopo l’anno 1000: prima si diffuse nella città di Venezia e poi divenne sempre più ampio, man mano che la Repubblica prosperava e si arricchiva. Il simbolo dell’Evangelista, il leone alato, divenne anche il simbolo della città. Nel frattempo, anche altri luoghi reclamarono parti del suo corpo. Negli anni, il rapporto tra Venezia e il suo patrono si è rinsaldato sempre più, fino a coincidere con la storia e l’identità della città. La Basilica di San Marco, situata nella famosa piazza, è uno dei principali luoghi di culto e un simbolo della ricchezza e della potenza di Venezia durante il suo periodo di massimo splendore. Il legame dei veneziani con il loro patrono è molto profondo e significativo: ogni anno, il 25 aprile, san Marco è celebrato con processioni ed eventi speciali, che dimostrano devozione, affetto e rispetto per il santo. Non solo una protezione e una guida spirituale, ma anche un riferimento di appartenenza storica e culturale. Marco per Venezia rappresenta anche la storia, la libertà e l’indipendenza della Repubblica di Venezia. Inoltre, da sempre, il leone alato, raffigurazione simbolica dell’Evangelista, esercita un grande fascino nei veneziani, come emblema di tenacia e autorevolezza.
Intervista impossibile di Monsignor Francesco Moraglia al Santo
Affiancare, ascoltare, imparare e trasmettere sono i passaggi vissuti da te per tramandarci il Vangelo: come recuperarne il valore in una società autoreferenziale incentrata sull’immediato?
Come raccontano gli Atti degli Apostoli, anch’io ho vissuto i disagi, le fatiche e le asprezze dell’evangelizzazione insieme ai timori e alle fragilità che ognuno porta con sé, tanto che a Perge in Panfilia ho abbandonato la missione per Antiochia di Pisidia e sono entrato in contrasto addirittura con l’apostolo Paolo. Posso, quindi, comprendere bene la situazione attuale di ogni evangelizzatore che è chiamato ad essere luce per le genti ma facendo sempre i conti con limiti e difficoltà. Poi, però, tornato nella comunità ecclesiale di Gerusalemme, ho recuperato coraggio e forza e, alla fine, mi sono ritrovato al fianco dell’apostolo Pietro che arriverà anche a chiamarmi «suo figlio» (1Pt 5,13).
Attraverso quali mezzi e strumenti parleresti di Gesù all’uomo contemporaneo?
La mia epoca era, evidentemente, molto diversa dalla vostra, ma ci accomuna una consapevolezza che necessariamente l’evangelizzatore deve avere: ogni uomo – nessuno escluso – è un salvato, al di là delle proprie possibilità e risorse umane. Poi l’evangelizzatore deve sapere che, se pensa di affidarsi unicamente alle sole sue forze umane sarà ineluttabilmente destinato a venir meno, a fallire. Chi evangelizza e annuncia la salvezza, innanzitutto deve testimoniare che Gesù non è “un di più”, un “qualcosa” che si aggiunge ad una umanità già data. Al contrario, è l’unico necessario perché, senza di Lui, non si può fare nulla.
Quali sono le sfide da affrontare per rendere la nostra azione catechetica più incisiva e kerigmatica?
Con il mio Vangelo, offro vari suggerimenti e propongo uno stile, con un linguaggio essenziale ed immediato. Ho cercato di essere quasi un cronista, uno scrittore “popolare” che esprimesse in modo chiaro, accessibile e con ritmo la concretezza e la vivacità di dialoghi, racconti, fatti. Ho cercato di trovare insomma, un linguaggio comprensibile, vivace e accessibile anche per quelli che non appartenevano al mondo ebraico in cui Gesù era vissuto. Così ho inaugurato la forma del Vangelo che, secondo il mandato ricevuto da Gesù, deve essere annunciato ovunque, in tutti i tempi e ad ogni uomo. Anche voi, oggi, dovete riuscire ad annunciare il medesimo Gesù – Misericordia di Dio per l’uomo – in un contesto che non è più quello. E questo è oggi il vostro compito. È un impegno intellettuale, spirituale e teologico che continua la realtà dell’incarnazione, intesa come volontà di includere cercando di superare ogni barriera. Il mondo concreto che io avevo dinanzi – gli uomini e le donne con cui sono entrato in dialogo, la comunità in cui sono vissuto – è divenuto opportunità di nuovo annuncio; così deve essere anche per voi oggi.
Il volto di Dio che ci racconti nel Vangelo a quale immagine di uomo corrisponde?
Il mio Vangelo dopo duemila anni è ancora attualissimo. Nella prima parte spiego chi è Gesù e ve lo presento come chi passa guarendo e sanando. Ma il mio Gesù non è né un Superman, né uno sciamano del mio tempo; è il Figlio di Dio che si conosce solamente dall’evento della croce. Per questo vi presento nel modo più vivo la confessione di fede del centurione che oggi, in una società secolarizzata come la vostra, vi fa guardare all’umanità di Cristo per riscoprirla come il segno visibile della divinità che in Lui, il Figlio, si consegna all’umanità fino a morire. Il mio Gesù – come quello degli altri evangelisti – non ricerca fama, notorietà e potere, ma vuole instaurare rapporti umani nella figliolanza che ci unisce all’unico Padre che è nei cieli.
Segni Iconografici distintivi
È ritratto solitamente insieme ad un leone alato, simbolo del potere spirituale che viene attribuito alla sua figura, e con in mano penna, calamaio ed un cartiglio sul quale si leggono le prime parole del suo Vangelo, a simboleggiare il suo impegno nel diffondere la parola di Cristo. Il leone, da sempre simbolo di forza, fierezza, maestosità, nobiltà e coraggio, venne associato a Marco per come enfatizza la potenza della Resurrezione, la maestà e la regalità di Cristo e per le caratteristiche del suo Vangelo.
Tradizione gastronomica legata al culto
“Risi e bisi”, dal dialetto veneto “riso e piselli”, è un piatto tipico della cucina veneta che si usa gustare il 25 aprile. Il piatto si ispira probabilmente alla tradizione bizantina in quanto abbina il riso con le verdure. Il riso, simbolo per eccellenza di fertilità, e i piselli, simbolo della primavera, fanno sì che diventi un piatto celebrativo. Infatti, il Doge era solito mangiare risi e bisi per la ricorrenza come augurio di prosperità. La ricetta veneta prevede che vengano utilizzate tutte le parti del pisello (compreso il baccello) e, non per niente, si dice “ogni riso un biso” cioè, è buona prassi che la quantità di chicchi di riso debba essere la stessa dei piselli. Inoltre, è bene che la pietanza non sia né una minestra, né che sia troppo asciutta. Infine, per rendere il piatto ancora più saporito, si usa aggiungere al soffritto la pancetta.
Curiosità
A Venezia il 25 aprile si celebra la “Festa del Bocolo”, ossia gli innamorati regalano alle proprie novizze, ovvero le proprie fidanzate, un bocciolo di rosa rossa. Il termine “bocolo” in veneziano, infatti, significa proprio bocciolo. La tradizione affonda le sue radici nelle leggende dei paladini di Francia che combattevano i Mori in Terra Santa. Si unì a loro il giovane trovatore veneziano Tancredi, un ragazzo del popolo innamorato della figlia del Doge Orso I Partecipazio, la bella Maria, detta Vulcana. L’amore era corrisposto, ma ostacolato dal padre di lei che suggerì all’amato di coprirsi di gloria in guerra per conquistare il favore del Doge. Tancredi partì ma non tornò. Ferito a morte nei pressi di un roseto, colse un bocciolo di rosa bianca che si tinse del suo sangue. Con il fiore in mano, chiese all’amico Orlando di portarlo alla sua amata. Orlando arrivò a Venezia per la festa di san Marco e consegnò la rosa a Vulcana, che comprese subito il triste destino dell’amato. Il giorno dopo fu trovata morta con la rosa tra le mani. Così, la rosa rossa è diventata un pegno d’amore eterno tra gli innamorati veneziani. Un’altra leggenda del “bocolo” parla di un amore a lieto fine. Racconta la storia di Basilio della Giudecca a cui era stato donato un roseto che cresceva nei pressi della tomba dell’Evangelista. Alla sua morte, la pianta di rose segnò il confine tra le due parti di proprietà ereditate dai figli. Appassì quando nacquero dissapori tra i due rami della famiglia, ma rifiorì quando due giovani appartenenti alle famiglie rivali si innamorarono. Da quella volta il bocciolo di rosa viene offerto alle donne nel giorno di san Marco quale simbolo d’amore vero, imperituro.
Preghiere a San Marco
O glorioso San Marco,
che foste sempre in onore specialissimo nella chiesa,
non solo per i popoli da voi santificati,
per il Vangelo da voi scritto,
per le virtù da voi praticate,
per il martirio da voi sostenuto,
ma ancora per la cura speciale
che mostrò Iddio per il vostro corpo
portentosamente preservato sia dalle fiamme
a cui lo destinarono gli idolatri nel giorno stesso della vostra morte,
sia dalla profanazione dei saraceni
divenuti padroni del vostro sepolcro in Alessandria,
fate che possiamo imitare tutte le vostre virtù.
Amen.
(di Autore Anonimo)
O glorioso Evangelista San Marco,
accogli propizio i tuoi figliuoli che devoti t’invocano
per tutti i loro bisogni dell’anima e del corpo.
Insegna a ciascuno di noi a mettere in pratica
gli esempi e la dottrina di Gesù Cristo,
che così bene esponesti nel tuo Vangelo.
E come santificasti i luoghi dove il Principe degli Apostoli
t’inviò a predicare il Vangelo,
così ora santifica questo paese che il Signore ha affidato alla tua protezione,
che da te prende il nome.
Proteggi le nostre famiglie, custodisci le nostre case,
benedici il lavoro dei campi, accompagna sul mare i nostri naviganti,
salva i nostri figli e sii vicino a quelli che da noi sono lontani.
Finalmente, o martire invitto della fede,
rendici intrepidi contro l’infernale nemico sempre,
ma specialmente nell’ora di nostra morte,
donde possiamo venir con te nel cielo a lodare Iddio per tutta l’eternità.
Amen.
(di Autore Anonimo)
Fonti
- I santi del giorno ci insegnano a vivere e a morire, Luigi Luzi, Shalom Editrice.
- Il grande libro dei santi, dizionario enciclopedico diretto da C. Leonardi, A. Riccardi, G. Zarri, San Paolo Editore.
- I santi secondo il calendario, prefazione di Gianfranco Ravasi, edizioni Corriere della Sera.