1 Luglio 2024

Un ponte tra Panama e Tursi, nel segno della missione

Don Giovanni Messuti, giovane presbitero della diocesi di Tursi-Lagonegro, in Basilicata, sta vivendo una bellissima esperienza missionaria a Panama, che sta avendo un impatto significativo sia per la comunità centro-americana che per quella lucana.

“L’iniziativa missionaria a Panama è nata da una semplice chiacchierata con il mio vescovo, mons. Vincenzo Carmine Orofino” – racconta don Giovanni Messuti, 37 anni, presbitero della diocesi di Tursi-Lagonegro, in Basilicata. “Come avviene tra padre e figlio, si discute e noi ci stavamo chiedendo cosa poter fare per riscoprire il volto missionario della nostra chiesa locale dopo il Covid”.
Nell’arcidiocesi di Panama don Giovanni sbarca grazie alla conoscenza con l’arcivescovo, mons. José Domingo Ulloa Mendieta, che aveva già auspicato una presenza italiana nella sua terra.
Il progetto iniziale prevedeva la permanenza di un fidei donum nella comunità panamense per un triennio, come solitamente stabilito nelle convenzioni che regolamentano la presenza dei sacerdoti inviati a svolgere un servizio temporaneo in terra di missione. Ma col tempo ci si è resi conto che così facendo c’era il rischio che il missionario vivesse una bella esperienza, senza un impatto reale sulla diocesi di origine. Così, in accordo con il vescovo, il progetto è stato rielaborato, prevedendo di alternare dei periodi nella diocesi di origine a soggiorni di due o tre mesi a Panama.
L’arcidiocesi comprende la provincia di Panama, in America Centrale, con sede arcivescovile nella capitale, un territorio vasto e complesso, con diverse problematiche legate alle infrastrutture, all’economia e alla pastorale. Nella giungla ci si sposta con i fuori strada, si guadano fiumi e per raggiungere alcuni villaggi, bisogna percorrere lunghe distanze a piedi.
Nonostante le difficoltà, la fede del popolo panamense è viva e profonda. La carenza di sacerdoti ha reso necessario un percorso di responsabilizzazione dei laici, che svolgono un ruolo fondamentale nella vita delle comunità. Ogni villaggio ha un delegato della parola che durante l’anno, ogni domenica, legge il Vangelo, lo commenta, promuove attività e distribuisce le ostie consacrate dal fidei donum. Ma ai laici di questa realtà manca una vita sacramentale regolare.

“L’arcivescovo di Panama dice che la mia presenza lì è stata anche un segno per il suo clero, che si è interrogato sui bisogni del territorio.

Come accade in ogni vocazione, si possono vivere momenti di distrazione, ed è sempre presente il rischio di accomodarsi sulle proprie sicurezze, perdendo di vista le criticità a cui dover far fronte. Molti preti sono rimasti colpiti dalla mia presenza e hanno riflettuto su come poter essere più presenti con il loro servizio” – ha raccontato il sacerdote lucano. Essere stranieri in terra straniera ha significato per don Giovanni essere un segno di speranza e di vicinanza per i panamensi. “In territori in cui le istituzioni sono assenti, ‘tu che parti dall’Italia per incontrarci è il segno che Dio non ci abbandona’, dicono i cristiani delle comunità visitate”.

Ma l’esperienza a Panama ha avuto un impatto profondo anche sulla diocesi d’origine.

Le storie, gli incontri e la genuinità della fede panamense hanno spinto altri a partire in missione.
“Lì ho trovato completamente un’altra realtà rispetto alla nostra occidentale”, racconta Francesco, che a Panama ci è andato che non era neanche maggiorenne, con uno dei viaggi organizzati da don Giovanni. “Ho incontrato persone piene di trepidazione e di gioia, perché sapevano che eravamo andati lì per loro, senza chiedere nulla, ma solo per ascoltarli e annunciare Cristo. È questo che mi sono portato a casa: la felicità dell’essere discepoli di Cristo”.
Un’esperienza di fede profonda e genuina, riscoperta anche da Antonella e Antonio, una coppia di sposi che ha preso parte allo stesso viaggio. Inizialmente animata dal desiderio di conoscere realtà diverse dalla propria, è Antonella a dare voce alla bellezza del vangelo testimoniata dai volti della Chiesa di Panama.
“Io mi sono mossa per me, ho intrapreso questo viaggio per avere un confronto diretto con una realtà molto diversa dalla mia, e per avere più consapevolezza di quello che ho e che non apprezzo. Non sono partita per dare niente – ribadisce – ma lì ho trovato la gioia profonda della condivisione e una grande dignità vissuta anche nella povertà. Ho trovato una fede più autentica”.
Nonostante l’esiguo numero di presbiteri, la comunità cristiana si riunisce di domenica, prima prega e poi condivide insieme il pasto: un’esperienza di fraternità che ricorda quella delle prime comunità apostoliche. “Per me è stato molto bello – confessa Antonella – anche perché nel nostro paese quando la messa finisce, tutti scappano e non abbiamo neanche un attimo per condividere un saluto, una parola o chiedere semplicemente: come stai?”.
L’esperienza missionaria di don Giovanni, Francesco, Antonella e Antonio è un invito alla condivisione e alla riscoperta della fede. Un invito a guardare oltre i confini delle nostre parrocchie e ad aprirci all’incontro con l’altro. La presenza a Panama è un ponte tra due mondi, un ponte che ha permesso lo scambio di doni preziosi: il sostegno pastorale alla diocesi ospitante e la fede autentica e matura da riscoprire e condividere per i missionari italiani.

(di Giacomo Capodivento – foto gentilmente fornite da Francesco Dipinto)

1 Luglio 2024
raccontaci

Hai una storia da raccontarci?

Condividi la tua esperienza, ti potremo contattare per saperne di più.

Iscriviti alla nostra newsletter