Ucraina: un anno di dolore, un anno di amore
In questi mesi vi abbiamo raccontato diverse storie di accoglienza dei profughi ucraini in fuga dalla guerra. Nel primo anniversario di questo terribile conflitto, siamo tornati a vedere come stanno cambiando le esigenze e le prospettive di chi è arrivato nel nostro Paese (se è ancora qui) e come si sta evolvendo anche lo sforzo delle comunità che hanno spalancato le porte delle proprie case e del proprio cuore.C’è chi è rimasto e chi invece ha deciso di tornare in patria. C’è chi vive una situazione precaria e chi invece si è stabilito, trovando anche un lavoro. Queste sono solo alcune delle storie dei profughi ucraini accolti nelle parrocchie italiane durante questo anno di guerra, iniziato con l’invasione russa del 24 febbraio 2022 e che ancora non sembra trovare soluzione. Nel corso di questi dodici mesi vi abbiamo raccontato alcune di queste storie di accoglienza e di solidarietà di fronte all’emergenza e al dolore. Vediamo, a un anno di distanza, come si sta evolvendo la situazione.
Adattarsi e saper fare rete
A giungere in Italia dall’Ucraina sono state soprattutto donne e bambini, che in questi mesi però hanno cercato di fare rete e di adeguarsi al contesto. Questo è il caso di Novara, dove sono presenti circa 400 ucraini ed è stata eretta la prima parrocchia in Italia per i cattolici di Kiev di rito bizantino. “Fare una stima di chi sia arrivato e di chi sia andato via è difficile: abbiamo infatti organizzato dei pullman in questi mesi per chi voleva tornare ma, con l’arrivo dell’inverno, alcuni hanno preferito rientrare in Italia”, racconta don Yuriy Ivanyuta, parroco di Santa Maria del Carmine. “Adesso le donne si aiutano tra di loro, fanno rete e si mandano informazioni in ucraino e link quando hanno necessità di salute o di lavoro. Sono quasi autonome”, evidenzia don Yuriy.
Una storia molto simile a quella di Gonars, cittadina in provincia di Udine, dove attualmente ci sono tre famiglie ucraine con 4 minori, di cui uno, Artèm, è affetto da disabilità. “Il loro inserimento procede bene: gli adulti sono riusciti a trovare lavoro mentre i ragazzi vanno a scuola. Artèm, poi, è stato preso in carico dal servizio sanitario nazionale, perché ha bisogno di fare fisioterapia e di ausìli sanitari costantemente aggiornati con la sua crescita”, sottolinea don Michele Zanon.
Nonostante sia passato un solo anno e magari dopo pochi mesi si siano trasferiti in altre città, il rapporto tra gli ucraini e la popolazione locale è rimasto molto forte, come testimonia il caso di Fiano. “Anche se le donne si sono trasferite a Roma, compresi i loro bimbi, il rapporto con la comunità locale è rimasto importante: sebbene siano stati qui soltanto da marzo a settembre, loro sono venuti a dicembre a farci gli auguri di Natale e anche i parrocchiani, quando vanno a Roma, li incontrano e lasciano loro dei pensieri”, sottolinea don Terzilio Paoletti.
L’aiuto
Ancora oggi, però, resta importante il sostegno a chi vive e a chi ha vissuto gli orrori della guerra. “Aiutiamo circa un centinaio di famiglie ucraine, donando loro dei pacchi settimanali con cibo, vestiti e ogni genere di necessità; ciò che rimane lo spediamo in Ucraina. Nel corso dei mesi, però, siamo stati costretti ad aiutare meno persone, perché non riuscivamo più a stare dietro a tutti. Allo stato attuale aiutiamo solo gli indigenti, coloro che non hanno un lavoro”, sottolinea don Yuriy. Adesso si pongono problemi diversi, legati più all’alloggio che al vitto, visto che “l’albergo che prima ospitava alcuni profughi, oggi non è più disponibile”. Il sostegno alle famiglie fuggite in Italia si è però unito anche ad un aiuto concreto per coloro che invece vivono gli orrori della guerra tutti i giorni, in Ucraina.
“Pochissimi giorni fa abbiamo spedito il nostro centesimo pacco con ogni genere di necessità, vista la situazione di emergenza presente. Dall’inizio del conflitto in Ucraina abbiamo inviato circa 1600 tonnellate di roba”, rimarca Daniele Ballarin, membro del Sermig, la Fraternità del Servizio missionario giovani (Sermig), di cui fa parte anche don Andrea Bisacchi. Un aiuto che si è aggiunto a quello portato in Italia, soprattutto ai bambini. “Dall’Ucraina sono arrivati una ventina di minori malati di cancro, grazie a un progetto portato avanti con l’ospedale Regina Margherita di Torino. Un bambino sottoposto a cure chemioterapiche non può essere gestito come gli altri”, sottolinea Ballarin.
Anche a Gonars hanno cercato di portare assistenza nelle città sconvolte dalla guerra. “È stato grazie alle tre famiglie che ospitiamo che siamo riusciti a capire come aiutare al meglio coloro che stavano in Ucraina”, evidenzia Don Michele, che negli ultimi mesi ha intrapreso numerosi viaggi per portare aiuto in Ucraina (come testimoniano le immagini della galleria fotografica). “Nell’ultimo viaggio non ho portato aiuti ma ho voluto documentare insieme a una troupe televisiva il sostegno in quei luoghi. È preoccupante soprattutto la situazione dei 6mila orfani tra Leopoli e la Transcarpazia: l’Ucraina fornisce loro un minimo sostegno, ma non basta. Sono bambini che soffrono la fame, il freddo, ma sono provati anche dal punto di vista psicologico-affettivo: basti pensare che devono restare spesso al buio per ore e nascondersi con un vitto che scarseggia e temperature rigide. Per questo abbiamo portato anche oggetti come generatori di corrente e lampade, che potessero alleviare in parte la loro condizione”.
(di Lucio Palmisano – foto gentilmente concesse da don Michele Zanon)
Dall’Italia all’Ucraina, insieme a don Michele e ai suoi collaboratori