11 Ottobre 2022

Dossier. Sinodo: la Chiesa si riscopre famiglia

Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI, ci racconta la grande esperienza di famiglia che stanno vivendo, con il Sinodo, le Chiese che sono in Italia. Mezzo milione di persone hanno dato vita, finora, a 50.000 gruppi sinodali.

Il pensiero alla famiglia è immediato. Sarà perché questa è il luogo in cui si toccano con mano i passaggi di vita. Sarà perché “camminare insieme” è importante, ma bisogna farlo con dolcezza e amore, custodendo e prendendosi cura dei compagni di viaggio. Sarà… ma ogni volta che si parla di sinodalità o di stile sinodale, il riferimento alla famiglia e alle sue dinamiche può aiutare a comprendere meglio la posta in gioco. E questo perché, come insegna papa Francesco nell’Esortazione apostolica Amoris Laetitia, “la Chiesa è famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche” (n. 87). Insomma, è la traduzione concreta di una sinodalità praticata quotidianamente. Fuori da ogni retorica, tra le mura domestiche si sperimenta la bellezza e la fatica di attraversare insieme le stagioni della propria esistenza. La sinodalità, in un certo senso, è proprio questo: una meta comune da raggiungere attraverso un percorso condiviso, senza fughe in avanti, nel rispetto dei tempi di ciascuno. È come la mamma e il papà che fanno festa per ogni piccolo traguardo raggiunto dai figli o dalle figlie: immaginiamo la gioia coinvolgente del primo passetto o della prima parola pronunciata e, allo stesso modo, il dolore per una caduta o per un problema inaspettato. Non c’è un manuale o un libro delle istruzioni. Si impara, facendo… i coniugi, i genitori, i nonni. Così la sinodalità non è solo splendore, ma porta con sé l’imperfezione della quotidianità e di questa si nutre. Se tutto fosse lineare, il percorso risulterebbe falsato. Sono i piccoli o grandi intoppi che aiutano a crescere nel dialogo e nell’amore. In questo la famiglia può insegnare tanto alle comunità cristiane. Lo stiamo sperimentando in questo tempo di Cammino sinodale che le Chiese in Italia stanno dedicando all’ascolto. Dalle sintesi dei circa 50.000 gruppi sinodali, che con i loro facilitatori hanno animato i diversi territori per una partecipazione complessiva di mezzo milione di persone, emerge chiaramente la tensione a una Chiesa-casa. Si legge, infatti, nel testo che presenta il lavoro complessivo delle diocesi: “Sentirsi o non sentirsi a casa costituisce il criterio del giudizio dei singoli sulla Chiesa. Casa è uno spazio accogliente, che non devi meritarti, luogo di libertà e non di costrizione. (…) È urgente ripensare lo stile e le priorità della casa. Se accogliere e accompagnare diventano preminenti, tutto deve essere reso più essenziale, a cominciare da strutture e aspetti burocratici. La Chiesa-casa non ha porte che si chiudono, ma un perimetro che si allarga di continuo”. L’immagine della casa suggerisce il recupero di altre istantanee che dalla famiglia possono dare alimento a una sinodalità che non sia estetica ma forma e stile della Chiesa. Almeno quattro sembrano essere molto eloquenti: la carovana in cammino; la tavola imbandita; le generazioni; l’ospitalità.

 

La carovana in cammino

“Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la ‘mistica’ di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio. In questo modo, le maggiori possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza!”. Questa descrizione efficace del tempo attuale, che Papa Francesco offre al numero 87 dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, permette di tradurre il concetto già espresso di imperfezione del cammino, ma anche di tensione a punti di sintesi. Il cardinale Marcello Semeraro, per anni docente di ecclesiologia e oggi prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, spiega in alcuni suoi scritti che “il termine sinodalità indica il gruppo di persone che procedono insieme, che fanno la stessa strada, come in una carovana in cammino, nella diversificazione delle condizioni, delle esperienze e delle fatiche del viaggio, ma dirigendosi tutti verso la comune meta”. In questo la famiglia ha tanto da insegnare: basta pensare alle diverse età che ne animano il tessuto. Più che una fila indiana ben composta, richiamano una compagnia di viaggiatori che si uniscono per attraversare regioni deserte, malsicure o disagevoli. È la metafora della vita, in cui la linearità deve fare i conti con la ripidità e viceversa. Ed ecco che i nonni diventano riferimento per i genitori e memoria viva per i nipoti. E questi, nella felicità dei genitori, sono futuro e speranza per i nonni. L’immagine della carovana esprime questa circolarità di visioni e sentimenti. “Voi non dovrete uscire in fretta né andarvene come uno che fugge, perché davanti a voi cammina il Signore, il Dio d’Israele chiude la vostra carovana” (Is 52,12). Questo versetto del profeta Isaia caratterizza maggiormente la riflessione. Si parla del ritorno dei deportati a Gerusalemme. Si può immaginare che il tragitto tra le due città fosse percorso appunto da carovane di mercanti che portavano le merci. I deportati sicuramente ricordavano il viaggio in carovana per arrivare nella capitale dei Babilonesi: ma in quel momento erano schiavi e quindi verosimilmente controllati da tutte le parti dai soldati. Ora, invece, è tutto capovolto: il Signore li guida e li segue per tornare a casa. La carovana ha sempre un riferimento ben preciso e un accompagnatore che, dal fondo, segue l’incedere di tutti. Il tutto con amore e aiuto reciproco.

 

La tavola imbandita

Uno dei momenti in cui si sperimenta la gioia di stare insieme è proprio intorno alla tavola imbandita. È qui che si assapora il gusto della condivisione, del racconto, della trasmissione di memoria e, soprattutto, del guardarsi negli occhi. Intorno alla tavola, la famiglia si ritrova e si rigenera. Le gioie e le fatiche diventano pane spezzato e ogni boccone è partecipazione, sinonimo di calore e di amore. La tavola, per certi versi, ritma la vita familiare: dal mattino alla sera esprime premura e attenzione e anche il passaggio di una storia personale e comunitaria. In questo modo la propria famiglia viene inserita in un contesto sociale ben preciso. La tavola ha la forza di accogliere e trasmettere. La memoria si nutre dei pasti quotidiani e, con essi, passa dai genitori ai figli senza sosta, in una circolarità che aiuta a far crescere e a rafforzare i legami. Così la Chiesa, famiglia di famiglie, trova il suo punto più alto nel fare festa intorno alla tavola eucaristica. Papa Francesco lo ha ricordato, a Matera, lo scorso 25 settembre, durante l’omelia della Messa per la conclusione del 27° Congresso Eucaristico Nazionale. “Sogniamo – ha detto, tra l’altro – una Chiesa eucaristica. Fatta di donne e uomini che si spezzano come pane per tutti coloro che masticano la solitudine e la povertà, per coloro che sono affamati di tenerezza e di compassione, per coloro la cui vita si sta sbriciolando perché è venuto a mancare il lievito buono della speranza. Una Chiesa che si inginocchia davanti all’Eucaristia e adora con stupore il Signore presente nel pane; ma che sa anche piegarsi con compassione e tenerezza dinanzi alle ferite di chi soffre, sollevando i poveri, asciugando le lacrime di chi soffre, facendosi pane di speranza e di gioia per tutti”. Come nelle famiglie, il momento della festa segna il culmine e la ripartenza per ogni nuova sfida. D’altronde, senza nutrimento viene meno la forza per progredire nel cammino. Ecco perché le dinamiche della vita familiare ricordano che non ci può essere percorso sinodale senza il fondamento eucaristico.

 

Le generazioni

Nel “cammino” familiare ci sono poi diverse generazioni che s’incontrano. È la bellezza della dimensione generativa, porta d’uscita da ogni forma di narcisismo e, allo stesso tempo, porta d’ingresso in una dimensione di totale apertura di sé, che sa appunto farsi dono per la crescita dei più piccoli. È il contrario della stagnazione, dell’impoverimento di sé, della ricerca del consenso personale. Generatività è, in concreto, ricevere qualcosa dal passato e accoglierlo, facendo nascere qualcosa nel presente per trasmetterlo alla generazione successiva. E così creare una continuità… nel dinamismo proprio della fede. Si tratta di accogliere una realtà viva, facendola crescere perché venga trasmessa come dono vitale, anche in contesti multiformi come quelli attuali. Due aspetti, in particolare, sono molto interessanti e stimolanti: nell’incontro tra generazioni si genera, ci si prende cura e poi si lascia andare. In ogni famiglia si sperimenta l’importanza del prendersi cura degli altri: è la capacità di rallentare il passo, di mettere da parte l’ansia per le cose da fare e di ascoltare, accompagnando in un percorso condiviso chi è rimasto indietro o chi vive qualche fragilità. Allo stesso tempo, si vive la profondità del distacco, del lasciar andare: è la consapevolezza di procedere sempre in libertà, senza lacci o catene, senza lamentele inutili. Sono le prospettive della sinodalità: nel camminare in “carovana solidale” la fede cristiana “ricomincia” in ogni generazione. Per questo, è generativa. E lo è sempre per attrazione e testimonianza.

 

L’ospitalità

Un’ultima istantanea, con cui leggere la sinodalità attraverso la vita familiare, riguarda l’ospitalità. Molto spesso la frenesia delle giornate soffoca questa caratteristica e chiude le porte al forestiero. È la vittoria dell’egoismo. L’ospitalità, infatti, agisce non solo su chi viene accolto ma anche su chi accoglie. L’incontro permette di capire meglio le proprie radici e approfondire la propria identità. Essere ospitali è davvero un dono in un tempo di grandi chiusure e rifiuti sociali. Una casa aperta espande il calore delle mura domestiche nel quartiere, diventando esempio per il vicinato. Chi è ospitale sa farsi “buon samaritano” di un’umanità sfiorata: non è solo il prendersi cura a diventare determinante ma il custodire l’altro. E questo passa dall’interesse per il futuro di chi s’incontra. Come nella parabola del Vangelo, il Samaritano infatti è preoccupato che l’albergatore si prenda cura del malcapitato e, per questo, gli lascia due denari con la promessa che quanto spenderà in più gli verrà pagato al suo ritorno (cfr Lc 10,35). Ecco la bellezza dell’ospitalità: non solo accogliere nella propria dimora domestica ma custodire nel proprio cuore. Quando si cammina insieme, come nel processo sinodale, l’ospitalità assume le caratteristiche della preoccupazione per trovare un rifugio non per isolarsi ma per fare festa. Non si cammina da soli infatti, ma con tanti compagni di viaggio che condividono ogni piccola tappa raggiunta. L’ospite non è chi riceve accoglienza, ma chi la offre. È la lettura al contrario l’arricchimento di chi ha cuore libero al cambiamento e alla conversione. La sinodalità è ancoraggio in una storia che prosegue nel tempo.

Queste quattro immagini sottolineano che il Cammino sinodale viene compiuto in un tessuto vivo. A volte la tentazione dell’erudizione soffoca la vivacità delle nostre comunità. Eppure sono queste – la loro storia, la loro cultura, le loro tradizioni – a parlare e a testimoniare che la Chiesa è davvero una famiglia.

di Vincenzo Corrado
Direttore dell’Ufficio Nazionale
per le comunicazioni sociali della CEI


11 Ottobre 2022
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