Seminare speranza e costruire umanità: da San Severo al Benin
La testimonianza di don Nazareno Galullo, della diocesi pugliese di San Severo, da 5 anni fidei donum in Benin, paese dell'Africa occidentale affacciato sul golfo di Guinea. "Non basta edificare strutture: la missione è umanità, scolarizzazione, azione pastorale, sviluppo, economia" - ci racconta. "Lo scambio e l’arricchimento devono essere reciproci e le nostre diocesi non devono chiudersi in se stesse".Sei sacerdoti fidei donum, un missionario comboniano, un laico. E tante presenze di preti, laici e vescovi in visita. Dal 1996 la diocesi di San Severo è presente in terra di missione nel nord del Benin, Africa occidentale, repubblica presidenziale con una democrazia generatasi dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960. È don Nazareno Galullo, classe 1969, docente di religione per 12 anni nei licei e parroco di Rignano Garganico dal 2006 al 2016, ad occuparsi di evangelizzazione dal 2019.
“In Benin – racconta don Nazareno – il 60% della popolazione è cristiana, il restante 40% è islamica. La Chiesa cattolica è presente con 10 diocesi ed è seguita dal 45 % dei cristiani. È una Chiesa che negli anni si è resa sempre più indipendente dal clero missionario e ormai quasi tutti i preti sono autoctoni. Le realtà missionarie sono diventate sempre più esigue. Nella diocesi dove opero, su un centinaio di preti locali, sono l’unico prete missionario. Numerosi sono i preti beninesi che operano all’estero, soprattutto in Francia e in Germania”.
Da quando sono arrivati nella diocesi di Natitingou, nel 1996 a Wansokou e poi spostandosi dal 2012 a Cotiakou, i missionari hanno assistito a una forte emigrazione delle famiglie verso le grandi città, del Benin o della vicina Nigeria, in modo che nei villaggi più sperduti rimanessero soprattutto anziani e bambini. Attualmente la presenza di terroristi jihadisti nel nord, nella regione detta Atakora, sta minando il percorso di evangelizzazione; ma le difficoltà incontrate sono soprattutto legate alle differenti lingue dell’ottantina di etnie presenti nel Paese.
“Anche se la lingua ufficiale è il francese – prosegue don Galullo – la gente parla e comunica nelle lingue locali, soprattutto nei villaggi, rendendo così necessaria per noi la mediazione di un interprete. Anche la poligamia può costituire un ostacolo alla diffusione del Vangelo, ma ci spinge ad una pedagogia dell’attesa e della pazienza, che sola ci permette di annunciare la Buona Notizia anche tra i poligami. A tutto questo si accompagnano un forte clericalismo e una scarsa formazione del laicato, che spesso viene valorizzato solo per le necessità di catechesi nei villaggi più lontani”.
Molte sono le opere realizzate finora:
– un Centro missionario di accoglienza all’interno della parrocchia di Cotiakou;
– un collegio per ragazzi dei villaggi lontani che possono così frequentare la scuola secondaria di primo e secondo grado, assente nei villaggi;
– la prima evangelizzazione di 16 villaggi con 13.500 abitanti, sparsi in un raggio di 40 km e difficili da raggiungere se non col fuoristrada;
– l’aiuto ad alcuni villaggi con pozzi per l’acqua;
– il sostegno a 150 ragazzi e bambini dell’obbligo scolastico e a 30 studenti universitari nelle università locali (di Cotonou e Parakou);
– la creazione di un punto Caritas per l’acquisto calmierato del mais, da rivendere ai poveri allo stesso prezzo e impedendo così la speculazione;
– l’aiuto sanitario a chi è in difficoltà (non esiste assistenza sanitaria pubblica).
“Oltre al sostegno della diocesi di San Severo e ai fondi provenienti dall’8xmille alla Chiesa cattolica – riprende don Nazareno – tante famiglie di San Severo e non solo hanno fiducia nelle donazioni e nella loro destinazione, grazie soprattutto ad una rete fatta col passaparola. Attualmente abbiamo intenzione di restaurare dei vecchi locali in disuso per aumentare da 24 a 50 la disponibilità di posti per i ragazzi e le ragazze del collegio e stiamo cercando di reperire le necessarie risorse”.
Don Nazareno è affiancato da tre suore e tre volontarie, tra cui un’insegnante di scuola primaria. E poi ci sono Hubert e Lucien.
Hubert Tchari Tongambori, 34 anni, diacono, specializzato in Diritto canonico a Roma, è il primo collaboratore di don Nazareno per la pastorale giovanile, l’infanzia missionaria e per la catechesi (nella galleria fotografica qui sotto lo vediamo mentre anima la Via crucis).
“Di don Nazareno – racconta – mi ha colpito subito la disponibilità e la sua capacità di fare amicizia, nonostante la differenza di età. Ci ha insegnato che la comunità deve imparare a prendersi cura di se stessa, non aspettare che gli aiuti materiali ed economici arrivino dall’esterno. Il che significa lavorare, pur non rinunciando alla carità cristiana. Qui nei campi c’è molto sfruttamento ma noi non demordiamo. Dobbiamo combattere innanzitutto la dispersione scolastica e per la catechesi utilizziamo tutti gli spazi, anche all’aperto. Per raggiungere i più lontani ci muoviamo con la moto, anche perché il fuoristrada ormai dà segni di cedimento e andrebbe sostituito”.
Lucien Tchatignanka, 56 anni, laico, è invece responsabile del collegio e della formazione (anche la sua foto è nella galleria fotografica qui sotto). Coltiva i suoi campi di mais e si è convertito al cristianesimo grazie ai missionari che si sono avvicendati. È un catechista e aiuta altri catechisti a formarsi. “Don Nazareno è una persona buona – spiega, con semplicità – e quando si arrabbia è soprattutto perché abbiamo mentito o nascosto qualcosa, per esempio quando si rompe un attrezzo agricolo. La verità però viene sempre a galla e la decisione finale poi spetta al parroco, per il suo ruolo e la responsabilità a lui affidata”.
E intanto con le celebrazioni di Quaresima ci si prepara alla Santa Pasqua e alla solenne Veglia in cui i catecumeni riceveranno il Battesimo. Don Nazareno, nel suo racconto, passa in rassegna i ricordi belli di questi anni e si commuove quando alcuni giovani, che erano lontani e senza speranze, si laureano a pieni voti.
“Questo mi fa riflettere – conclude il sacerdote – perché i giovani hanno davvero voglia di risorgere in un paese che invece non li calcola affatto e dove soltanto i più abbienti potrebbero terminare gli studi senza un sostegno come quello che offriamo noi. Mi fa sempre effetto anche vedere le persone anziane che si fanno il segno della croce e che ringraziano per le piccole cose. Ai giovani sacerdoti invece vorrei dire con forza di partire – conclude – perché l’esperienza cristiana come radicamento nella fede è ancora da realizzare. Non basta edificare strutture: la missione è umanità, scolarizzazione, azione pastorale, sviluppo, economia. Lo scambio e l’arricchimento devono essere reciproci e le diocesi non devono chiudersi in se stesse. Ma quanto sentiamo ancora viva e forte l’urgenza della missione ad gentes?”
(di Sabina Leonetti – foto gentilmente concesse da don Nazareno Galullo)