Sassari: dopo il carcere una casa per ricominciare a vivere
Il cappellano del carcere di Bancali di Sassari, don Gaetano Galia, dirige dal 2016 una comunità diocesana per detenuti in misura alternativa. Accoglienza, interculturalità, parità di genere: l’esperienza del reinserimento di chi è uscito dal buio anche grazie alle suore e agli educatori della comunità.Petra (i nomi dei tre ospiti sono di fantasia), 39 anni, ha potuto scontare un anno in comunità a Sassari non avendo ottenuto gli arresti domiciliari in patria (in Polonia non esistono misure alternative al carcere); Jannik, alto-atesino, durante la detenzione ha studiato Scienze agrarie e oggi è stato assunto dalla cooperativa Differenze come coordinatore delle attività agricole e formatore degli altri ospiti detenuti; Ivan, albanese, è in semilibertà e ogni giorno va a lavorare nella digitalizzazione di un archivio. Sono tre dei 15 ospiti, uomini e donne, che hanno trovato una casa e una famiglia nella Comunità di accoglienza per detenuti in misura alternativa “Don Graziano Muntoni”, nell’entroterra di Sassari. Aperta dal 2016 e dal 2018 in una nuova sede con otto ettari da coltivare offerti dall’agenzia Agris, è un’opera segno dell’arcidiocesi di Sassari voluta da mons. Paolo Atzei e dal 2017 sostenuta da mons. Gianfranco Saba, guidata dal cappellano del carcere di Sassari e referente della Pastorale penitenziaria della Sardegna, don Gaetano Galia, con l’aiuto di tre suore dell’Istituto Poverelle di Bergamo fondato da san Luigi Palazzolo (1827 – 1886).
«La comunità offre uno spazio di reinserimento – spiega don Gaetano – a detenuti che, avendo compiuto un processo di revisione della propria vita e degli errori che hanno commesso, possono usufruire delle misure alternative al carcere: affidamento ai servizi sociali, arresti domiciliari, permessi premio, semilibertà e art. 21 (ovvero chi ha la possibilità di svolgere un lavoro fuori dal carcere)». Con la sua simpatia ed il piglio deciso e informale don Gaetano sembra quello che in effetti è: un pedagogista che accoglie con braccia di padre dopo aver imparato ad ascoltare senza giudicare i pensieri e le emozioni di chi ha commesso dei crimini. Originario di Arborea, classe 1960, primo di cinque figli, don Gaetano è entrato nei Salesiani a 16 anni. Dopo la laurea in Teologia a Torino e in Pedagogia a Sassari, dall’inizio degli anni ’90 ha sempre lavorato nel rione più difficile di Sassari, Latte Dolce, fra bambini di strada, poveri, adolescenti abusati. Per molti anni ha diretto le comunità alloggio per minori nel Centro salesiano di San Giorgio, poi dal 2011 è cappellano del carcere di Sassari e direttore dell’ufficio di Pastorale penitenziaria della diocesi di Sassari. Da un anno è anche delegato regionale dei dieci cappellani delle carceri sarde. «Parliamo non a caso – rimarca – di pastorale penitenziaria e non carceraria: l’aggettivo penitenziaria, infatti, include anche tutte le misure alternative al carcere. Questo elemento è fondamentale perché vuol dire che il Vescovo ci incarica di animare la diocesi verso la situazione di queste persone. Sembra scontato pensare che i cristiani siano pronti ad accogliere i detenuti. Purtroppo, non è così: anche fra i credenti ci sono molti che hanno un modo di pensare rigido e severo, pensano che ogni detenuto che abbia sbagliato vada rinchiuso in cella e si debba buttar via la chiave. In realtà quando riusciamo a presentare alle parrocchie le nostre attività, ci rendiamo conto del profondo legame fra i valori del perdono, dell’accoglienza, della revisione della propria vita in funzione dell’errore e del nostro desiderio di essere perdonati.
Se ognuno di noi ha il desiderio di essere perdonato da Dio, noi per primi dobbiamo dare il perdono a chi ha sbagliato: questo è il compito della pastorale penitenziaria
e la nostra comunità d’accoglienza diocesana si inserisce all’interno di questo circuito». Nella grande casa con arredi sobri e colorati e la calda accoglienza delle tre suore delle Poverelle di Bergamo che vivono con i detenuti, campeggiano sui soffitti e sulle pareti le intuizioni di san Luigi Palazzolo: «Io cerco e raccolgo il rifiuto di tutti gli altri», «In ogni persona c’è sempre un punto accessibile al bene». Nelle conversazioni con i detenuti ospiti della comunità emerge in filigrana il microcosmo carcerario, con i suoi gravissimi problemi. In Sardegna, secondo gli ultimi dati, ci sono appena tre direttori per dieci penitenziari e un carcere minorile, per oltre 2.000 detenuti: solo a Bancali sono circa 400. L’assenza di direttori vuol dire mancanza di attività formative, gravi carenze di agenti penitenziari e di educatori, assenza di operatori sanitari che possano curare l’amplissima presenza di tossicodipendenti e il disagio psichico che riguarda quasi la metà dei detenuti. Le attività educative sono troppo poche, nonostante la nostra Costituzione (art. 27) affermi che le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato» tanto più che, statistiche alla mano,
il tasso di recidività del reato crolla all’1 per cento se la fine pena coincide con l’occupazione del detenuto.
Ecco perché sono così importanti le comunità d’accoglienza per le misure alternative come questa, una delle otto gestite dalle diocesi sarde con i contributi regionali. «Ci sforziamo di relazionarci con ciascuno di loro guardando alla persona al di là del reato. Nell’accogliere detenuti di qualsiasi nazionalità e religione – osserva don Gaetano – ci ispiriamo all’interculturalità per valorizzare le ricchezze esistenti in tutte le culture: siamo tutti figli di un unico Dio, tutti abbiamo un cuore, dei progetti e dei sensi di colpa per gli errori fatti». Nella fraternità e nell’uguaglianza, aggiunge, affonda le radici anche la «scelta ponderata» di dirigere una comunità di uomini e donne: è nella convivenza che si afferma la parità di diritti. «Ognuno di loro sa che qui ci sono delle regole: tutti lavano i piatti, tutti fanno le pulizie – dice – tutti fanno i lavori normali che possono fare un uomo e una donna… e già così, nelle attività quotidiane, si acquisisce che la parità è un elemento fondamentale nella vita».
(testo e produzione del video di Manuela Borraccino – foto, riprese e montaggio di Marcello Mura)
Si ringrazia don Luca Collu per la concessione del brano Amore senza favola, cantato da Laura Lambroni e dedicato alla memoria di Zdenka Krjcikov, uccisa il 15 febbraio 2020 a Sorso (Sassari) dall’ex compagno Francesco Fadda, condannato all’ergastolo e detenuto nel carcere Bancali di Sassari.