Riappropriarsi delle origini e della terra, partendo dalle api
La diocesi di Trivento, tra Abruzzo e Molise, conosce bene la fragilità delle aree interne del nostro Paese, soggette a uno spopolamento che sta dilapidando un patrimonio culturale, umano e ambientale immenso. Recuperare antiche tradizioni e buone pratiche è una delle facce di un intervento pastorale calato nella realtà, come ci racconta don Alberto Conti.Un piccolo borgo abruzzese arroccato su di un crinale roccioso che domina la valle del Trigno, lungo il confine con il Molise. Castelguidone è un comune di trecento anime in provincia di Chieti e appartiene alla Comunità montana Medio Vastese. Qui è parroco don Alberto Conti, direttore della Caritas diocesana di Trivento. Una diocesi di 40 mila abitanti che comprende due regioni, Abruzzo e Molise, e tre province: Isernia, Campobasso e Chieti. Ricomincio dalla mia terra è il titolo di una serie di corsi formativi lanciati dalla Caritas e finanziati con i fondi dell’8xmille, in particolare un laboratorio teorico e pratico di apicoltura, risorsa preziosa del territorio, e un inedito corso di cucina tradizionale molisana.
Ma tutto va inserito nel contesto storico-geografico dei luoghi. “C’era una volta – esordisce don Alberto – la storia di paesi un tempo ricchi di vita, quando la mattina aprivi le finestre e sentivi il profumo del pane appena sfornato e le voci allegre dei bambini che andavano a scuola, la sera vedevi le luci accese alle finestre e il fumo che usciva dai comignoli, segni che quelle case erano abitate. Oggi invece le luci delle case si spengono giorno dopo giorno per non riaccendersi più e dalle strade si ode solo il silenzio che porta dentro i cuori sofferenza, inquietudine e soprattutto paura, tanta paura. Paesi abbandonati per mancanza di lavoro, dai quali i giovani – di ieri e di oggi – sono costretti a partire per non tornare più. Il continuo impoverimento ha avuto come conseguenza la privazione dei servizi essenziali: ambulatori medici, farmacie, scuole, negozi di alimentari, infrastrutture quasi inesistenti. Le terre una volta coltivate, oggi sono abbandonate e destinate a franare, con conseguenze gravi per la salvaguardia dell’ambiente. Tutto questo genera la crisi delle comunità. L’economia trainante è quella dei pensionati. Per chi resta o ha perso il posto di lavoro in edilizia e artigianato ricollocarsi ad una certa età – continua don Alberto – diventa difficile, quasi impossibile. Come Caritas abbiamo dato vita per questo a tanti progetti, tutti all’insegna della sola parola d’ordine che abbiamo voluto li contrassegnasse di “Resto nella mia terra”, un invito ma anche un impegno comune. Da qui sono nati i corsi di OSS per assistenza agli anziani, i corsi di cucina tradizionale e quelli per il restauro del legno, i corsi di scultura e fusione artistica nella Fonderia Marinelli delle campane di Agnone, i corsi di elettricità ed elettronica, i corsi di coltelleria artigianale e tradizionale a Frosolone, i progetti di artigianato perché il Molise in dieci anni ha perso più di 1.600 artigiani, a causa certamente delle tasse, del caro bolletta, della concorrenza della grande distribuzione con la cultura dell’usa e getta, ma anche e soprattutto dell’insufficiente ricambio generazionale.
E non per ultimo l’apiario didattico sorto su di un terreno di proprietà della Parrocchia, con una doppia finalità: insegnare un mestiere a chi ha perso il lavoro e – attraverso le operosità delle api – la cura dell’ambiente, l’orto sinergico.
Ricreare cioè una piccola economia familiare e salvaguardare il creato.
Se stanno bene le api – aggiunge don Alberto – vuol dire che l’ambiente è sano: abbiamo il dovere di prendercene cura, come Papa Francesco ci ricorda nella Laudato si'”.
Tutor del progetto è il giornalista Francesco Bottone, caporedattore dell’Eco dell’Alto Molise. “Avevo pubblicato sul mio giornale l’annuncio del corso di apicoltura solidale – spiega Bottone, che è anche apicoltore – e don Alberto mi ha chiesto di coordinarlo. Nelle scorse edizioni – il primo corso di apiario didattico risale al 2019 – l’età media dei partecipanti era di 45-50 anni, quest’anno è scesa a 40 e il corso è quasi tutto al femminile. L’apicoltura è legata al clima e bisogna conoscere i ritmi delle api, gestire la sciamatura, le fasi della lavorazione dei prodotti, l’etichettatura. Interveniamo con trattamenti biologici per contrastare parassiti e patologie a tutela della salute dei consumatori. Il corso si articola in 300 ore, per due o tre volte a settimana, in primavera ed estate, e non è finalizzato alla commercializzazione ma alla produzione familiare – in media un quintale l’anno -, al passaparola tra amici. La qualità del miele che ne deriva è molto elevata perché l’aria è salubre e non si utilizzano trattamenti chimici”.
Felice Le Donne ha 56 anni, e dopo aver perso il lavoro in un calzaturificio (delocalizzato in Romania), dovendo affrontare le spese di una casa e di tre figli all’Università – disseminati tra Padova e Campobasso – ha pensato bene di frequentare il corso di apicoltura perché le sue origini sono contadine. Anche sua moglie ha perso il lavoro come assistente in una struttura per anziani. L’annuncio in rete è stata la molla per iniziare, tre anni fa. “Ho frequentato tutti i livelli dei corsi – racconta Felice – e ho vinto la paura delle api assecondandole fino ad aprire un mio apiario. Tutta la famiglia partecipa a questa attività, mio figlio che studia a Campobasso aiuta nel confezionamento dei vasetti e nella diffusione, sostenendo l’importanza del miele dal punto di vista salutistico. La mia unica prospettiva ora è far laureare i miei figli”.
Antonietta Cirulli, corsista in questa edizione, aggiunge: “La vita dell’apicoltore è bella, si svolge all’aria aperta, richiede molta attenzione e pazienza. Spero di incrementare e aprire un’azienda tutta a conduzione familiare”.
“La difficoltà maggiore – riprende don Alberto – è trovare gli utenti che rispondano ai nostri progetti formativi. La mia prima denuncia risale al 1992, quando effettuammo, con un’indagine sociologica e demografica, la prima lettura del nostro territorio diocesano. Accanto ai tre volti delle povertà che ben conosciamo, quella materiale, quella relazionale e quella generata da non senso alla vita, abbiamo scoperto un quarto volto: quello dello spopolamento. La nostra diocesi era contrassegnata con la qualifica di “zona depressa”, con i suoi quaranta paesi destinati in gran parte a scomparire entro il 2040, se non si fosse innescata un’ inversione di tendenza. La nostra è stata la prima “denuncia” del problema espressa in maniera precisa e documentata, rimasta inascoltata per decenni dalle istituzioni. La denuncia è già annuncio di salvezza, essa reca dentro di sé già un germoglio di vita nuova, perché è il contrario dell’indifferenza, del voltarsi dall’altra parte. La risposta che ci siamo dati è che non sarebbe bastato l’impegno della Chiesa, della Caritas, ma occorreva ridare dignità alla parola politica, rimettendo al centro dei suoi valori e del suo impegno la persona umana. E così abbiamo pure fondato la Scuola di formazione all’impegno sociale e politico intitolata al giudice “Paolo Borsellino”. E poi, persi i partecipanti negli anni, abbiamo deciso di andare a incontrare le comunità per ascoltare e dialogare, portare speranza, creare occasioni di lavoro puntando sulle proprie capacità e insistendo sulla formazione delle nuove generazioni. Ecco la genesi dei nostri corsi. Non dobbiamo allungare l’agonia: dopo lo spopolamento di massa – conclude don Alberto – urge un ripopolamento di massa, la nostra missione è profetica, porta speranza. Ma tutto deve tornare in mano alla politica, agli enti locali. I segnali arrivano infatti dalle Università che partecipano nelle strategie e nella progettazione”.
E ci lascia con una frase di San Giovanni Paolo II, in visita ad Agnone nel 1995: “Sarà doveroso progettare la qualità del territorio, superando la tentazione di emarginare le zone più ferite dall’emigrazione. Solo ripristinando dappertutto condizioni di vita ottimali si consentirà a ciascuno di rimanere nella terra dei suoi avi e nella sua casa. Non si promuove vero progresso se si abbandonano a se stessi i più piccoli e gli ultimi”.
(di Sabina Leonetti – foto gentilmente concesse da Francesco Bottone)