Prendersi a cuore la natura per imparare ad amare
Da Toscana Oggi, una bella esperienza comunitaria vissuta in armonia con una natura stupenda: a Cascia in Valdarno (diocesi di Fiesole) don Roberto e i suoi ragazzi, insieme ad un bel gruppo di genitori e di adulti, hanno riqualificato gli spazi imparando a lavorare insieme.Il lavoro quotidiano dei sacerdoti è impegnativo, silenzioso, continuo; si declina in molti modi, dalle liturgie all’impegno pastorale. Significa vestirsi di abiti diversi, da quello talare a quello di tutti i giorni. Occorre saper parlare tanti linguaggi: da quello religioso, a quello di insegnante, a quello di catechista, a quello di amico o persino assistente sociale. È, con termine improprio, una «professione» difficile da svolgere, che richiede molteplici adattamenti all’ambiente in cui si è chiamati a operare e dove capita ogni volta di ricominciare da capo, con umiltà, come insegna il Signore.
Se ne ha cognizione visitando l’oratorio della parrocchia di san Pietro a Cascia (parte dell’unità parrocchiale di Reggello – Cascia – Cancelli – Sant’Agata, in diocesi di Fiesole). Don Roberto Brandi parla della piccola rivoluzione del catechismo «esperienziale» che consente di entrare nei testi sacri e nelle parabole con approcci nuovi e diversi, come quello del laboratorio, usando le mani, oppure quello della drammatizzazione. Ma anche attraverso musica e arte. «È incredibile ciò che si può trasmettere ai bimbi attraverso un quadro di Rembrandt come “Il ritorno del figliol prodigo”. Un’opera in cui si leggono tanti messaggi: dal disprezzo del figlio verso il fratello ritornato, al padre amorevolmente curvo sul figlio a cui dona il proprio perdono con amore, nonostante abbia dilapidato tutti i suoi averi; i piedi del figliol prodigo, l’uno calzato e l’altro nudo a significare il cammino, la caduta e il ritorno. Ma è l’abbraccio del padre misericordioso che colpisce di più perché nelle parabole esiste anche una gestualità da riscoprire: Gesù compie i suoi miracoli con le mani, quando tocca le persone, o quando impasta il fango e ridona la vista al cieco». A sancire l’importanza della manualità, don Roberto mostra i girasoli in carta realizzati dai bambini che, così come i fiori fanno con il sole, insegnano loro a non perdere mai di vista Gesù. La catechesi a Cascia ha appuntamenti mensili anche per giovani e giovanissimi in collaborazione con l’Azione cattolica, che coinvolgono circa una trentina di ragazzi, dove «si punta in alto, si scommette su Gesù» scherza don Roberto. Alle 21 è previsto un momento di adorazione preceduto da una proposta degli educatori più conviviale e sempre diversa: una testimonianza, una drammatizzazione (ad esempio con la riscrittura dell’incontro tra Dante e Beatrice). L’importante però «è l’incontro con Lui, questa è la sfida più alta» sottolinea don Roberto. E lo si fa durante l’Eucarestia cercando di insegnare ai ragazzi la condivisione, la compostezza e il giusto raccoglimento, utile a percepire la sacralità del momento. A torto gli adulti danno spesso un giudizio frettoloso sui ragazzi, attribuendogli superficialità e disattenzione ai temi spirituali. «Al contrario, c’è molta sete di verità e ricerca nei giovani, la consapevolezza che la vita è una sola ed è come l’ultima tela per un quadro, non va sprecata ma va giocata bene. Da parte nostra, vanno saputi accompagnare cogliendo i loro interrogativi, perché spesso non osano chiedere, sei tu che devi metterti in ascolto» dice don Roberto.
«Quello che fa breccia davvero è l’incontro personale. I cristiani sono quelli che trovi in strada, come si dice negli atti degli Apostoli. È sulla strada che puoi fare gli incontri più belli: Gesù per strada incontra i ciechi, i lebbrosi, la samaritana.
Non serve lamentarsi che la gente non viene più in chiesa, devi alzarti e uscire. Una parola, un caffè, un saluto: gli incontri spesso ti cambiano la vita.
Se si resta nel proprio giardino, il pericolo è costruirsi intorno piccole elites. Dunque mai accontentarsi, la strada non ha muri, ma solo orizzonti: bisogna imparare a camminare a fianco degli altri». Uscire dai percorsi consueti per incontrare le persone là dove vivono, nei paesi come nelle periferie delle città e favorire la relazione umana. Il primo obiettivo di un operatore pastorale forse è proprio quello di stabilire una connessione con le persone, una amicizia, tendere una mano e donare un sorriso. Per don Roberto «se una persona ha incontrato il Signore, ti contagia con la sua gioia. È capace di farti diventare parte di questa grande famiglia che è la Chiesa. Come disse Madre Teresa di Calcutta, per cambiare la Chiesa occorre partire da me e da te».
A Cascia si è messa in pratica la lezione. Una squadra di volontari tra cui i genitori dei bambini, ha riqualificato gli spazi interni ed esterni senza eccessivi investimenti. Sono stati ripuliti, imbiancati e riaperti spazi comuni (come l’antica sala consiliare della pieve) per l’intrattenimento e il gioco (un campo di pallacanestro e uno da calcio, con tanto di prato sintetico); si sta progettando un piccolo punto di ristoro dedicato alle famiglie con lo scambio libri, per poi avere l’occasione di commentarli insieme. Il progetto nel cassetto (ma ancora per poco) è quello di creare nel campo circostante un percorso meditativo in 7 tappe come i giorni della creazione, attraverso l’utilizzo di piante che ricordano i ritmi della terra.
«Bisogna coltivare la bellezza che si ritrova nelle cose semplici, come in un canto o osservando la natura.
Lavorando la terra si impara a stare al mondo. Se custodisci una pianta e non la fai appassire, impari a custodire le relazioni umane»
sottolinea don Roberto mentre saluta un ragazzo siriano arrivato quattro anni fa e ospitato per un periodo in parrocchia insieme alla sua famiglia. Mohammad, questo il suo nome, racconta che in Italia ha potuto finire gli studi e che sta per laurearsi in chimica. Oggi è qui per dare una mano in oratorio e sorvegliare i più piccoli che stanno giocando nel campino. Varco il cancello dell’area gioco dove è appeso un cartello: «Le tre parole chiave: permesso, scusa, grazie. Se in famiglia si usano queste parole, la famiglia va avanti. Papa Francesco».
( di Antonella Berti – da Toscana Oggi del 7 novembre 2021)