Nella parrocchia di Don Luigi D’Errico la relazione con gli altri è la cura
Papa Francesco ha chiesto le meditazioni per la Via Crucis del 2021 ai bambini della parrocchia romana di don Luigi D’Errico. Siamo andati a scoprire come si cresce in una comunità che di fronte a bisogni speciali non gira la testa dall'altra parte.«Stare accanto agli altri è la vera catechesi». Parola di don Luigi D’Errico, che guida la parrocchia romana dei Santi Martiri dell’Uganda, all’Ardeatino, ed è il referente diocesano della pastorale per le persone con disabilità. Un impegno, quello di don Luigi, notato anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che l’anno scorso gli ha conferito il titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana. Nella comunità di via Adolfo Ravà l’attenzione è per tutti coloro che versano in condizione di bisogno. L’intera comunità è coinvolta, perfino i bambini che frequentano il catechismo della Comunione e della Cresima: proprio loro, con gli scout Agesci di Foligno, sono stati scelti per preparare le meditazioni della Via Crucis di Papa Francesco. «Non c’è un singolo gruppo che fa una cosa, ma tutti fanno un po’ di tutto…. Serve un cambiamento di mentalità profonda». Don Luigi spiega con semplicità l’organizzazione della sua parrocchia. La Messa domenicale delle 10.30 è quella dei ragazzi e anche chi ha una disabilità partecipa alla celebrazione insieme ai propri coetanei.
«Una persona è prima di tutto una persona, non “un disabile”
– sottolinea il sacerdote –. C’è Simone, che ha iniziato a venire in chiesa perché gli piaceva la musica, e ha trascinato dentro pure sua madre, che non era molto credente. O Giulia, che durante la Messa si alza, viene sull’altare, e parla. O Eliana, che è morta poco tempo fa… Durante la Messa lei, che sapeva dire solo “mamma”, suonava sempre un campanello. Quando abbiamo celebrato il suo funerale in tanti hanno portato da casa un campanello, e lo hanno suonato come faceva lei. La amavamo tutti». Una celebrazione gioiosa, quella domenicale, che attira fedeli anche da altri quartieri. «Abbiamo anche due catechiste con disabilità, Lavinia e Benedetta», rivendica il parroco. «Non possiamo predicare che la vita è sacra e poi non accoglierla in tutte le sue forme – riflette ancora –. In estate organizziamo un campo estivo a cui possono partecipare tutti: lo scorso anno eravamo più di settanta, e la metà erano persone con disabilità».
Porte aperte, come i cuori dei fedeli della zona.
«Ogni parrocchia vive in un territorio specifico, quindi chi presta servizio deve partire dalla realtà in cui si trova – prosegue don Luigi –. Qui capitava spesso che si affacciassero alcune persone povere, anche se abitavano in altre zone. Il giorno di Natale di 11 anni fa si presentò una donna con un bambino piccolo che era rimasta senza casa. Ce ne furono anche altre, poco tempo dopo, e così cominciammo a pensare che serviva una struttura per ospitare queste donne, spesso straniere, spesso fuggite da uomini violenti». Da questa intuizione nasce, nel 2014, il “Rifugio per Agar”: «Qui vengono le donne finché non trovano un’altra sistemazione. Adesso ci sono diverse donne tra cui una congolese che ha una bambina, Silvia, di 7 anni, con la sindrome di down. Nel suo Paese sarebbe stata uccisa». Più recente – quattro anni fa – la realizzazione di “Casa Betlemme”, che accoglie famiglie senza dimora e che coinvolge anche altre otto parrocchie della prefettura.
Martiri dell’Uganda: un nome che provoca
Ispirata dal nome stesso dei propri santi patroni, questa comunità da sempre ha sostenuto i fratelli ugandesi, grazie a una collaborazione con i padri comboniani. La missione in Uganda caratterizza fortemente tutte le attività: «Il tempo missionario non può essere relegato al solo mese di ottobre, soprattutto per una comunità intitolata ai martiri ugandesi», evidenzia don D’Errico. Si cerca «di essere missionari sempre, durante tutto l’anno», grazie a un gemellaggio con la diocesi di Lira, nel Paese africano. Lì i volontari della parrocchia hanno costruito dei servizi igienici, una sala parto e portato diversi tipi di aiuti. «Prima del Covid andavamo in Uganda almeno due volte all’anno – racconta il parroco –; partivano anche piccoli gruppi di quattro o cinque persone. Ora stiamo organizzando un nuovo viaggio e c’è già la fila di persone che vorrebbero partire. Molti sono giovani. Perché i ragazzi sono coraggiosi, appassionati, ed è giusto coinvolgerli e farli partecipare. Si possono fare anche piccole rivoluzioni. L’unica cosa che non cambia è il Vangelo».
(Giulia Rocchi)