L’anima della borgata, scommettendo sui giovani
Da Romasette.it vi proponiamo la storia di don Marco Simeone, parroco a Torre Angela: un quartiere senza piazza, dove il centro è rappresentato dalla parrocchia, con i suoi 50mila abitanti e la presenza di oltre 40 diverse nazionalità.Casco in mano e abbigliamento sportivo, si confonde facilmente tra i fedeli della parrocchia dei Santi Simone e Giuda Taddeo a Torre Angela, che guida dal 2016. Don Marco Simeone, 52 anni, ha un sorriso accogliente. «Questa è una comunità di cuore: nel suo dna c’è infatti un’infinità generosità che porta le persone ad aiutarsi in qualsiasi momento. Sto imparando tanto sul piano delle relazioni umane». Borgata alla periferia est di Roma costruita a partire dal dopoguerra, Torre Angela è un quartiere senza piazza, fatto di palazzine basse – tre o quattro piani al massimo -, dove il centro è rappresentato dalla parrocchia, con i suoi 50mila abitanti. «Qui è come un paese – prosegue -: ci sono tanti negozi su strada e la chiesa si innerva fortemente nel tessuto sociale, che vede la presenza di oltre 40 nazionalità diverse». Il territorio parrocchiale è talmente esteso che è stato suddiviso, fin dal principio, in quattro unità pastorali, ognuna con una certa autonomia: c’è infatti un “centro” e ci sono altri tre luoghi – guidati dai viceparroci – in cui viene celebrata la Messa domenicale e si tengono gli incontri del catechismo per i bambini. «In realtà – precisa don Marco – esiste anche una quinta unità, che è quella dei tanti nigeriani della zona per i quali viene celebrata, nella sede centrale, la Messa in lingua inglese».
Una struttura di questo tipo «è un segno di comunione forte, anche se le difficoltà possono essere diverse – commenta ancora il sacerdote -. Il compito del parroco, soprattutto in questa parrocchia, è quello dell’unità: non deve avere la sintesi dei carismi, ma deve aiutare ciascuna persona a mettere a frutto il proprio carisma». Una lezione che don Marco ha fatto propria grazie all’esperienza maturata nel corso del suo cammino sacerdotale, iniziato nel 1994, a quasi 25 anni: «Frequentavo il liceo scientifico Avogadro quando all’ultimo anno decisi che sarei entrato in seminario – racconta, ricordando anche i suoi studi alla Pontificia Università Gregoriana -. La vocazione è nata a Sant’Atanasio, nei gruppi parrocchiali». In particolare, «è stata l’esperienza dei Cursillos di cristianità a segnare un passo avanti nella mia vita spirituale», ricorda. Subito dopo l’ordinazione ha ricoperto l’incarico di vicario parrocchiale alla Santissima Annunziata, quindi a San Giovanni Maria Vianney e poi di nuovo alla Nunziatella, questa volta come parroco. «È lì che ho compreso le mie responsabilità e il mio ruolo di padre». Ed è proprio come un padre che cinque anni fa don Marco è stato chiamato a sanare «la ferita» di una comunità che, per diversi motivi, aveva conosciuto tanti parroci in poco tempo: «Ho passato i primi mesi a rassicurare le persone che prima o poi sarei andato via, ma più poi che prima – confida -. Credo che il prete debba essere scontato come il faro di notte per la nave».
Rimanere: è dunque questa la mission primaria di don Marco, che ha in mente tanti progetti per i giovani del quartiere: «Personalmente seguo i ragazzi del post-cresima, della cresima e gli scout. Insomma, l’ambiente giovanile e parrocchiale è il mio luogo naturale – dice ridendo -. Non sono il risolutore dei problemi, ma colui che si impegna a far capire ai ragazzi che c’è un valore in ciascuno di loro». Una sfida preziosa in un territorio di frontiera come quello di Torre Angela, dove alto è l’abbandono scolastico e anche il rischio di seguire una strada sbagliata. «Questa è una scelta possibile se pensi di non avere altre carte da giocare, per questo oggi è fondamentale ripristinare l’oratorio come luogo di aggregazione: i ragazzi hanno necessità che ci sia qualcuno qui per loro, poi vengono da soli – prosegue -. Ogni anno, ad esempio, riusciamo a ospitare tanti giovani nella nostra casa estiva al confine con l’Abruzzo, facendo vivere loro una esperienza formativa».
Sulla capacità di visione del parroco si sofferma anche Alessandro, responsabile del centro di ascolto Caritas, che sostiene oltre 100 famiglie con la consegna dei pacchi viveri: «Chiunque abbia un problema trova in don Marco sempre un conforto e poi, nei momenti del bisogno, non c’è una volta che non lo trovi in prima linea». Come quando nel periodo del lockdown, durante la Settimana Santa, ha deciso di benedire la sua comunità a bordo di un pulmino. «A saperlo che creava tutto questo clamore, non lo facevo!», dice scherzando. Gesti di amore silenziosi, ma efficaci.
(Mariaelena Iacovone – da www.romasette.it)