Il vino nero è buono… il lavoro nero no!
La Caritas di Alba, diretta da don Mario Merotta, denuncia con forza lo sfruttamento e il caporalato, anche nella zona delle Langhe. L'impegno quotidiano al fianco dei più poveri (dalla mensa, al dormitorio, all'accompagnamento dei lavoratori privati dei propri diritti) rende questa voce credibile e scuote le coscienze di chi vorrebbe girare la testa dall'altra parte.“Vogliamo far capire che esiste un’altra via, un altro modo di agire, tenendo conto delle persone e dei loro diritti”.
Con queste parole don Mario Merotta, 46 anni, responsabile della Caritas della diocesi di Alba e vicario parrocchiale a Monforte e Roddino (Cuneo), sintetizza il proprio impegno per contrastare lo sfruttamento e il caporalato.
“Non so se siamo agli stessi livelli di altre zone d’Italia – spiega il sacerdote, cresciuto a Torino – ma nelle zone di Alba e nelle Langhe il fenomeno c’è da diversi anni: si parla di tre o quattro mila persone coinvolte, anche se fino a poco tempo fa se ne negava l’esistenza. Sono per lo più stranieri e lavorano soprattutto nell’agricoltura, nelle vigne, nella raccolta della frutta o nell’edilizia”.
Una realtà di sfruttamento che don Mario tocca con mano ogni giorno, attraverso le attività della Caritas diocesana. “Abbiamo un centro di prima accoglienza gestito insieme al Comune di Alba e al Consorzio socioassistenziale – spiega ancora -; serviamo il pasto serale e nel nostro dormitorio possiamo accogliere una ventina di persone. Per nostra scelta abbiamo deciso di aprire solo a chi non ha una casa né un contratto di lavoro ed è possibile alloggiare per un massimo di 30 giorni, per garantire un ricambio. Tra le persone che si rivolgono a noi, ci sono anche alcuni braccianti. In più Caritas italiana ha avviato da alcuni anni il Progetto Presidio che si rivolge proprio ai lavoratori in condizioni di sfruttamento”.
Qui è impegnato Fulvio Favata, 47 anni, membro della Caritas albese. “Lo scopo è quello di monitorare il territorio – racconta –. Abbiamo uno sportello mobile e uno fisico e ci muoviamo nella zona per intercettare i lavoratori che non riescono o non possono venire da noi”.
Un lavoro capillare che necessita tempo.
“Il primo passo è riuscire a parlare con queste persone – aggiunge Fulvio –, poi è importante creare un legame di fiducia con loro e infine metterli al corrente dei loro diritti, spiegando loro che esiste la possibilità di denunciare. In concreto facciamo cose molto semplici, come ad esempio insegnare loro a segnare correttamente le ore, per sapere se si è stati pagati in maniera adeguata. A volte gli forniamo le attrezzature o addirittura, in alcuni casi, le scarpe adatte, se non le hanno”.
L’impegno degli operatori e dei volontari ha dato i suoi frutti.
“Nell’ultimo anno – conclude Favata – siamo riusciti, in collaborazione con l’Ispettorato del Lavoro e le forze dell’ordine, a completare circa trenta pratiche di emersione del lavoro nero. Non è sempre facile, perché molti braccianti non hanno i documenti, anche se quando si è colti in flagrante a chi denuncia è accordato uno speciale permesso di protezione”.
Per stare accanto a tutti, in particolare a chi viene sfruttato, don Merotta sta pensando di aumentare l’impegno.
“Abbiamo tre stanze che stiamo rimodernando – ci spiega – e vorremmo creare un centro per la seconda accoglienza, per aiutare chi, bracciante o lavoratore, ha un’occupazione ma non riesce a trovare una casa, perché non se la può permettere a causa dei prezzi della zona (almeno 900 euro al mese per un appartamento) o perché non gli viene affittata in quanto straniero”.
Un’attività di sostegno e aiuto, quella della diocesi di Alba e della Caritas, a cui si aggiunge una costante opera di denuncia del sistema di sfruttamento. “Questi lavoratori – racconta il prete torinese – sono assunti da cooperative che li fanno lavorare con stipendi irrisori, spesso senza contratto e con pochissimi diritti. Su vari mezzi di comunicazione
ho parlato in maniera dura delle cooperative che sfruttano e abbiamo chiesto alle aziende sane di farsi avanti, per invertire insieme la rotta. Non mi ha risposto nessuno
e qualcuno ci ha accusato di affossare l’economia locale”.
Per il responsabile della Caritas, però, una soluzione ci sarebbe.
“Bisogna promuovere le assunzioni dirette – conclude -: solo così è possibile arginare il fenomeno del caporalato ed eliminare lo sfruttamento. Ci vuole più tempo, ma con un sistema basato sulla conoscenza delle persone si può creare un circolo virtuoso, dove i lavoratori non sono solo numeri”.
(di Roberto Brambilla – foto gentilmente concesse dalla Caritas di Alba)