Il cuore giovane di Santa Cruz
Don Alessandro Manenti è fidei donum in Bolivia da 35 anni. La sua missione si gioca tra l’insegnamento nella scuola pubblica, la cura della parrocchia e l’assistenza alle famiglie più bisognose. Il frutto più prezioso del suo impegno lo ritrova nei giovani, molti dei quali in questo modo si salvano dai tentacoli della tossico-dipendenzaAi piedi delle Ande e a ridosso della foresta amazzonica, Santa Cruz de la Sierra è oggi il nuovo centro economico della Bolivia. La città del bassopiano dove il surazo, il vento che arriva dalla Patagonia, spazza le strade durante l’inverno australe, si trova in un punto strategico del Paese, vicino al confine con Brasile e Paraguay. «È una città cresciuta in fretta su un territorio molto grande, che oggi conta ufficialmente quasi due milioni di abitanti, anche se in realtà, con gli agglomerati periferici, si arriva al doppio delle presenze» – spiega don Alessandro Manenti, fidei donum di Bergamo missionario in Bolivia da 35 anni. Quando è arrivato, tutto era molto diverso e Santa Cruz era un piccolo centro isolato fino alla creazione, all’inizio degli anni 2000, di una rete stradale e ferroviaria e dell’aeroporto più grande della Bolivia.
«Sono arrivato giovanissimo in Bolivia come volontario per fare un’esperienza di due anni nella Ciudad del Nino, un orfanotrofio a Cochabamba, inviato dalla mia parrocchia di Gandino, in provincia di Bergamo. E invece sono diventato sacerdote nel 2002 in Santa Cruz e sono andato prima a Cochabamba e poi nella parrocchia Nostra Signora di Fatima, che ora si trova quasi nel centro di Santa Cruz». I parrocchiani di don Alessandro, classe 1965, sono circa 40mila e la sua vita di pastore lo vede impegnato su vari fronti: è economo della cattedrale di San Lorenzo, partecipa alle liturgie e da 30 anni insegna religione nella scuola pubblica. «Ho studiato per insegnare nelle superiori – racconta -, ho scelto la scuola statale perché la nostra presenza in questa realtà come religiosi è importante. Seguo molti adolescenti tra i 14 e i 17 anni, mi confronto con i loro problemi, che in questi ultimi tempi registrano la crescita di spaccio e consumo della droga. Iniziano con queste piccole bustine di sostanze, vendute a prezzi bassissimi, ma dalle droghe leggere purtroppo è facile passare a quelle pesanti».
Cartelli dei narcos e rotte del traffico
Nella Bolivia dei cartelli della droga, la produzione e il traffico di sostanze sono un business che viaggia su rotte clandestine da uno Stato all’altro, in Colombia, Brasile, Messico, per perdersi poi nei meandri della foresta amazzonica dove solo i satelliti posso individuare le postazioni dei narcos. «È uno dei problemi più grandi della Bolivia perché è una delle zone dove si produce la droga e si esporta nel mondo. Tutti i giorni vengono rinvenuti chili e chili di pasta base o già lavorata, pronta da far partire con piccoli aerei leggeri sulle piste clandestine che ci sono anche poco lontano dalla città. A Santa Cruz abbiamo diversi cartelli che gestiscono il traffico, a volte anche con violenze nelle strade, sparatorie e regolamenti di conti».
A Santa Cruz c’è poi il problema delle migrazioni interne di persone in cerca di lavoro giornaliero. A loro si aggiungono nuove ondate di esuli venezuelani che purtroppo si spostano in vari Paesi dell’America Latina, soprattutto dopo il terzo mandato di Nicolas Maduro. «Sono famiglie intere senza casa né mezzi di sussistenza che vagano per le vie della città, cercando di raggranellare qualche spicciolo pulendo i vetri delle macchine ferme ai semafori. Ci sono padri con i figli che chiedono un po’ di lavoro. Il problema dei venezuelani diventa anche un problema per i boliviani, e per la gente di Santa Cruz, dove i problemi e le urgenze si affollano, perché è la città più gettonata in questo momento anche a livello economico. Anche se in questi ultimi mesi abbiamo problemi economici per l’aumento ingiustificato dei prezzi delle materie prime alimentari. Si prevede un aumento della povertà nelle fasce più indigenti della popolazione: a livello politico quest’anno ad agosto dovremmo avere le elezioni presidenziali e questo sta creando un po’ di caos».
La parrocchia ha un cuore giovane
La parrocchia è il perno intorno a cui ruota la missione di don Alessandro, che partecipa alle attività della Caritas diocesana per aiutare gli esuli venezuelani, gli ultimi arrivati nelle periferie delle periferie urbane, lontani dai grattacieli e dalle strade alberate della città. Si aprono le porte a chi ha fame, a chi ha bisogno di vestiti puliti, a chi ha bisogno di medicine o di una visita medica (compreso il dentista). Alla domenica la parrocchia – racconta don Alessandro – è piena di gente: «Abbiamo tre messe con la presenza di oltre duemila persone. C’è molta religiosità e partecipazione anche durante la settimana, ci sono anche tanti giovani, direi più degli anziani. Basti pensare che su gli oltre 11 milioni di boliviani, la metà è al di sotto dei 25 anni e circa tre milioni e mezzo hanno meno di 18 anni. Vengono in parrocchia per incontrarsi e seguire molte attività, la musica soprattutto. Suonano durante la messa, hanno dei complessini, cantano e animano la liturgia, sentono la parrocchia come la loro casa. Anche per i corsi biennali di preparazione alla cresima vengono in tanti: sono loro la linfa e la vivacità della nostra comunità».
(di Miela Fagiolo D’Attilia – foto gentilmente concesse da don Alessandro Manenti)