Da Milano, a Norcia, a Noto: tutti “sulla stessa barca”, senza paura
Don Paolo Catinello, direttore dell'ufficio Migrantes della diocesi di Noto, don Davide Tononi, parroco in solido di Norcia, don Giuseppe Facchineri, parroco della "Beata Vergine Addolorata in Morsenchio" a Milano: come hanno raccolto la sfida della pandemia?Il primo periodo della pandemia, in Italia, è stato terribile. Abbiamo perso molte vite e sono migliaia le famiglie ferite dal lutto, che non riescono a prenderne ancora pienamente coscienza. Abbiamo vissuto il dolore profondo delle persone che se ne sono andate da sole, senza poter salutare i loro cari, lasciandoli in un silenzio assordante.
Poi le altre piccole e grandi croci. Preoccupazioni su lavoro e sul reddito, la mancanza di relazioni, i bambini che non possono giocare e andare a scuola, un generale senso di paura.
È in questo contesto che abbiamo deciso di fare un piccolo viaggio da nord a sud per ritrovare, in forma virtuale ma umanissima, alcuni sacerdoti che avevamo conosciuto da poco. Per capire come stavano vivendo, insieme alle loro comunità, questo delicatissimo momento. Come hanno dovuto cambiare i modi di farsi prossimi agli altri in tempo di isolamento sociale. E infine per ricevere un pensiero, una riflessione, una visione.
“Ci siamo chiesti cosa potessimo fare noi come preti”, dice don Paolo Catinello, direttore ufficio Migrantes della diocesi di Noto, mentre don Davide Tononi, parroco in solido di Norcia, si chiede
“Da dove vogliamo ripartire, cosa vogliamo mettere al centro? Sicuramente la speranza”.
La verità più semplice e potente di tutte è che
“il gregge è nel cuore”
come dice don Giuseppe Facchineri, parroco di “Beata Vergine Addolorata in Morsenchio” a Milano.
Hanno ascoltato e consolato con i mezzi che la vita del nostro tempo ci ha messo a disposizione. Ci aiutano a immaginare il domani, in un “durante” che non finirà presto e che segnerà inesorabilmente il “dopo”.
Ci insegnano a guardare avanti, ricordandoci i primi tempi dei cristiani.
La comunione nella carità, nel prendersi cura. Il ritorno alle cose essenziali.
“Il segno più bello della Chiesa povera è che non deve tenere niente. Uno arriva, prende e va”
come dice ancora don Giuseppe.
Non è tempo di andare in chiesa. È tempo di fare Chiesa.
(Giovanni Panozzo)