Di fronte al Mistero del dolore, per ascoltare e accompagnare
"Quello che noi facciamo è favorire il lavoro interiore delle persone e accompagnarle nella malattia e, in alcuni casi, verso il Mistero della morte, che è più grande di noi”. La testimonianza di don Mario Cagna, cappellano dell'ospedale di Lavagna e assistente spirituale dell'hospice di Chiavari.“Volevo fare il medico per occuparmi della cura delle persone, ma il Signore ha voluto che lo facessi comunque, anche se in altro modo”. Don Mario Cagna, classe 1965, ligure, è il cappellano dell’ospedale di Lavagna e dal 2008 è l’assistente spirituale dell’hospice di Chiavari, in provincia di Genova.
Una missione, quella del sacerdote, responsabile dell’Ufficio per la pastorale della salute della diocesi di Chiavari, che ha radici lontane. “Sono entrato in seminario dopo aver frequentato tre anni di medicina e probabilmente avrei scelto geriatria come specializzazione – ricorda don Mario durante una pausa della sua lunga giornata –. Nel 2002 dopo alcuni mesi di servizio in Mozambico e il ritorno in Italia, volevo riprendere la vita dell’Africa, ma dato che era già partito un altro sacerdote diocesano, mi è stato chiesto di pensarci”. “Riflettendo – prosegue – ho capito che la sofferenza era anche qui, così ho cominciato ad andare in ospedale a Lavagna, prima come volontario, poi a tempo parziale e infine a tempo pieno”.
Un lavoro pastorale che scandisce le sue giornate ormai da quasi venti anni. “Inizialmente – dice il sacerdote – mi dividevo tra la parrocchia e l’ospedale, dove andavo soprattutto al pomeriggio, anche perché la mattina è sempre un po’ più intensa dal punto di vista medico”. “Ora – aggiunge don Mario – normalmente la prima parte della giornata la passo nell’hospice, la seconda in ospedale. Giro tra le corsie, è un modo per conoscere le persone. Sia pazienti che operatori. Lo faccio attraverso i colloqui, dove lo scambio varia molto a seconda di chi ho davanti”.
Momenti di ascolto e di condivisione, nel corso dei quali don Mario si confronta con un ampio spettro di sentimenti umani. “Quello che vedo – spiega don Cagna, la cui “parrocchia”, l’ospedale di Lavagna, conta più di 200 pazienti – sono soprattutto la paura e l’angoscia. È la paura rispetto a qualcosa di concreto, come perdere conoscenza, o di soffrire, mentre l’angoscia è legata all’insospettato, all’imponderabile, a quello che potrebbe succedere. La sofferenza e la malattia sono un percorso fisico ma in molti casi anche spirituale”. “Davanti a tutto questo non esiste un solo modo di porsi – aggiunge il sacerdote ligure – ci sono tecniche, strategie che si rifiniscono con il tempo. Quello che noi facciamo, come cappellani e assistenti spirituali, è di favorire il “lavoro interiore” delle persone e di accompagnarle nella malattia e in alcuni casi verso un Mistero, la morte, che è più grande di noi”. Un prendere per mano, dove non esistono vie tracciate a priori. “Cerco di non avere un programma prefissato – dice don Mario – perché molto dipende dalla situazione, dalla persona e dal suo percorso. Per esempio recentemente ho incontrato due pazienti con storie simili e la nostra chiacchierata ha preso direzioni molto diverse. E poi
spesso conta scegliere i gesti, una carezza o il tono delle parole”.
Questo ruolo di accompagnamento, a cui si affiancano la celebrazione della S. Messa e l’amministrazione dei sacramenti, il sacerdote lo svolge all’interno dell’hospice di Chiavari, nato nel 2008, anche grazie agli sforzi di don Mario. “Avevo letto e studiato quanto era disponibile all’epoca sulle cure palliative – ricorda –; ho cercato una psicologa che potesse aiutarmi e ho scoperto che loro stavano cercando me. Di fatto ho frequentato il corso sulle cure palliative insieme agli operatori sanitari”.
Una struttura piccola, l’hospice, dove forse più che in ospedale ci si trova a contatto con quel Mistero, che è la morte. “Quello che ho imparato nella mia esperienza – racconta il 57enne – è che, a differenza di quanto potremmo immaginare, la domanda ccentrale, non è: “perché?”. In molti casi i pazienti ci hanno già pensato e hanno già una loro risposta. Qualche volta con persone con cui si è creato un rapporto più profondo, capita di chiedere “come la vedi?”, ma non è così frequente”. E anche davanti all’avvicinarsi alla fine don Mario si trova di fronte a persone in molti casi consapevoli. “I pazienti sono disorientati – spiega – quando hanno informazioni discordanti, cioè quando il loro corpo dà un segnale e quello che viene detto loro è differente.
Nel percorso di cure palliative quando le persone sono correttamente informate fanno spesso un bel percorso. Il mio compito è soprattutto quello di ascoltarle”.
I “parrocchiani” del sacerdote non sono solo i pazienti ma anche le loro famiglie e gli operatori sanitari. “In ospedale – racconta don Mario – soprattutto durante la pandemia non è sempre stato facilissimo sintonizzarsi con le famiglie. Perché spesso alla domanda “come stai?” loro rispondevano: “non sono io che sto male, ma uno dei miei cari”. Per loro credo fosse difficile mettersi in sintonia con i sentimenti, le condizioni e le esigenze della persona malata. Nell’hospice, invece, dove non ci sono i momenti convulsi tipici di un reparto e il tempo di permanenza dei familiari non è deciso dalla struttura, si può fare un percorso, un cammino insieme, in alcuni casi molto bello”.
In questa strada, un ruolo importante lo svolge il personale sanitario: medici, infermieri, operatori socio-sanitari. “Con loro lavoriamo quotidianamente – spiega – è indispensabile creare una relazione con loro. A cambiare molto è stato il Covid.
Durante le fasi più dure mi mettevo fuori dal reparto e a ogni cambio turno ero a loro disposizione per ascoltarli.
C’era chi raccontava, chi piangeva, a volte ci siamo fatti qualche risata che in quei momenti era importante. Mi è capitato che magari operatori che prima appena mi salutavano si fermassero e mi ringraziassero”. La pandemia e non solo hanno fatto crescere una consapevolezza, anche tra istituzioni e operatori. “C’è sempre più richiesta di formazione per gli assistenti ai bisogni spirituali – conclude don Mario Cagna – e questa domanda viene soprattutto da istituzioni laiche. Per questo in quest’ultimo anno siamo sommersi dalle richieste di corsi sul tema”. Un momento, quella della sofferenza e della paura, dove l’assistenza spirituale sta diventando sempre più centrale.
(di Roberto Brambilla)