Da Faenza, dopo la terza alluvione, un grido di dolore
Emergenza alluvione, per la terza volta in sedici mesi. Sembra un incubo senza fine, per le popolazioni colpite dal fango e dalla furia degli elementi. Ma c'è chi non si dà per vinto e comunque continua a lottare, trovando una roccia sicura nella comunità cristiana e nei suoi sacerdoti, come don Massimo e don Andrea.Mille e cinquecento persone costrette ad evacuare le proprie case. È accaduto in Emilia Romagna, dove Faenza è stata colpita per la terza volta in 16 mesi dall’alluvione: dopo le due di maggio 2023, quella di settembre 2024.
Don Massimo Geminiani, parroco di S. Antonino, classe 1985, nel quartiere Borgo Durbecco (ex Rione Bianco, o cosiddetto Borgo) racconta di come siano stati sommersi dall’acqua, nel territorio situato a destra dei fiumi Lamone e del suo affluente Marzeno, esondati proprio quando la vita stava ripartendo di nuovo. “Il quartiere Borgo – spiega don Massimo – è costituito da due parrocchie (S. Antonino e S. Maria Maddalena), io sono co-parroco con don Andrea Rigoni a S. Antonino, oltre che a S. Lucia e S. Biagio. In prevalenza Borgo è costituito da anziani e da una buona parte di immigrati, impiegati soprattutto in agricoltura e servizi. I danni subiti sono ingenti per le abitazioni civili, ma ci siamo attivati subito in collaborazione con il Comune, con le parrocchie vicine, con i volontari del servizio civile e della Protezione Civile, che sono arrivati anche da altre province dell’Emilia Romagna”.
Luana Riganello, 46 anni, referente della Caritas parrocchiale di S. Antonino fa il punto della situazione. “Nella nostra parrocchia – spiega -, che conta tremila abitanti ed è situata nel cuore dell’alluvione, ho visto ripararsi anche fedeli di altre parrocchie. Anche se la nostra chiesa non ha subito danni, a pochi metri da noi c’era il disastro. Siamo stati dieci giorni senza elettricità, abbiamo allestito subito uno spazio di accoglienza nel circolo parrocchiale, dalle 8 alle 19.30, attivandoci con tutti gli strumenti idonei, mentre il Comune organizzava dei centri in altre zone. La città di Faenza è stata letteralmente spaccata in due; si sono perse le auto, non ci si poteva spostare. La solidarietà è andata crescendo: dal nord Italia, grazie ai gemellaggi con le parrocchie, dalla Sardegna. Sono arrivati indumenti, mezzi di trasporto, detersivi. Il fango da spalare rendeva omogeneo il nostro territorio nel paesaggio, i volontari erano irriconoscibili, con le difficoltà di rimuovere pure in fretta. Non solo giovani in soccorso, anche padri di famiglia che hanno preso le ferie per venirci ad aiutare. Neppure il tempo di riprenderci ed è arrivata la terza alluvione. Purtroppo la lentezza istituzionale è un dato di fatto”.
Andrea Bertoni, 63 anni è invece presidente della cooperativa sociale L’Alveare, che dal 1990 a Faenza gestisce servizi socio-sanitari ed educativi, nonché parrocchiano molto attivo. Tra gli altri servizi la cooperativa nel 2001 ha avviato il Centro Diurno socio-assistenziale per anziani e disabili adulti “Francesca Cimatti” di Faenza, al quale sono annessi e integrati 3 mini appartamenti gestiti dalla Parrocchia di S. Antonino di Faenza. “Durante le tre alluvioni che abbiamo vissuto – dichiara Andrea – il nostro Centro per anziani, proprietà parrocchiale, è stato colpito duramente e le attività sono rimaste bloccate. I locali erano completamente inadeguati a fronteggiare il rischio, ma ci siamo rialzati grazie al volontariato e ai donatori. Ora attendiamo interventi di ristrutturazione consistente ma la lentezza dell’apparato pubblico purtroppo è una costante in tutta Italia. Al danno, poi, si aggiunge la beffa, visto che come cooperativa sociale non possiamo fare una conta dei danni, e non riusciamo ad avere un giusto risarcimento. Un ringraziamento speciale vorrei rivolgerlo alla Caritas ambrosiana che ci ha consentito di riaprire il centro diurno: le caritas lombarde hanno predisposto un lavoro capillare su tutto il territorio, come pure un’associazione cosentina e la diocesi di Ravenna. Per recuperare la funzionalità ottimale del centro servono altri 200mila euro, a fronte dei 400mila di danni quantificati. Dal punto di vista psicologico siamo affranti e spossati ma cercheremo comunque di prepararci alle feste natalizie, per accogliere la nascita del Dio con noi”.
Don Massimo Geminiani, nella diocesi di Faenza- Modigliana, è anche incaricato della pastorale giovanile e della catechesi e in piena emergenza sta tentando di concludere la licenza in teologia pastorale a Padova. Lui che si era laureato in ingegneria civile a Bologna commenta sui fatti: “Non ho mai esercitato la professione, ma confrontandomi con tecnici del territorio, è palese l’imprudenza di avere costruito dove non si doveva e aver dato permessi pur conoscendo la fragilità del suolo, per quanto certamente si possa attribuire una grande responsabilità al cambiamento climatico. L’urgenza è mettere in sicurezza: troppa gente è in difficoltà con il freddo. Stiamo costruendo un muro che ripari dal torrente Marzeno, bisogna rinforzare gli argini e tenerli puliti, e vanno create casse di espansione, in modo che l’acqua possa defluire altrove, non sulle abitazioni. Nessun intervento garantisce al cento per cento riparo dalla pioggia in eccesso, ma i lavori non sono più rinviabili. Dove si è provveduto i risultati si vedono, dove si tarda i danni sono evidenti. Bisogna fare in fretta perché la tranquillità della nostra gente è un diritto, si va nel panico ogni qualvolta arriva un po’ d’acqua, e vivere in queste condizioni non è auspicabile per nessuno”.
Nella città storicamente nota per la produzione di ceramica artistica, Don Massimo può contare su di una comunità viva. È forte l’impronta sociale dell’impegno: nel pomeriggio ci sono lezioni di recupero scolastico in parrocchia, grazie a docenti in pensione e c’è la presenza di giovani scout che arrivano da parrocchie vicine o da Modigliana. Al mattino, con l’associazione di promozione sociale “Fraternità e lavoro”, si organizzano attività per anziani e soggetti con disabilità. La parrocchia ha avviato cineforum, crea legami, scommette sui lontani e auspica di fare rete con il terzo settore.
“Dovendo fronteggiare la scarsità di vocazioni – aggiunge ancora don Massimo – siamo un nucleo di sacerdoti che collaborando copre un territorio più ampio, un bel segno di unità pastorale”. Don Andrea Rigoni, 53 anni, è uno di questi sacerdoti. “A S. Lucia sono stati danneggiati anche terreni, colture nelle serre, il campo da calcio, impianti elettrici, anche se i danni sono minori rispetto al quartiere Borgo”. La sensazione diffusa è che i riflettori mediatici siano stati spenti dopo la terza alluvione: il dolore, la disperazione, la paura non sono danni materiali. La gente rischia di chiudersi in se stessa sfiduciata, non ha liquidità in denaro, non può accedere a mutui o finanziamenti, manca quella concretezza necessaria per uno sprint decisivo. La casa rimane sempre il nido in cui si mangia e si dorme, sebbene la comunità ecclesiale offra sempre un pasto caldo, ma senza casa non c’è prospettiva futura. “Eppure – aggiunge ancora Andrea Bertoni – ho visto tanto bene applicato sul fango, rimboccarsi le maniche è un connotato della nostra popolazione, auspichiamo che tutti facciano la loro parte, perché sporcarsi le mani è soprattutto fare il proprio dovere”.
Don Massimo e don Andrea ricordano, in conclusione, che sul sito della diocesi di Faenza – Modigliana si può fare riferimento a “Emergenza alluvione”.
“Tramite la Caritas diocesana e in collaborazione con la Caritas parrocchiale – precisano – stiamo distribuendo i moduli per richiedere un voucher finalizzato all’acquisto di un elettrodomestico o la possibilità di avere un rimborso spese su di una fattura sostenuta da un artigiano per lavori domestici di ristrutturazione. Siamo qui, aiutateci! Garantiamo che tutto sarà consegnato nelle mani di chi ha bisogno”.
(di Sabina Leonetti – foto gentilmente concesse da don Massimo Geminiani e don Andrea Rigoni)