Carpi ricostruisce anche le macerie del cuore
Il sisma del 2012 (come tutti i terremoti devastanti) ha lasciato ferite profonde nel cuore delle persone, oltre che negli edifici della comunità. A dodici anni di distanza, Sabina Leonetti ha raccolto le testimonianze di don Antonio Dotti (per anni alloggiato in un container, pur di rimanere accanto alla sua gente) e di molti suoi generosi collaboratori.Otto anni in un container
“Un terremoto, oltre al senso di instabilità, di precarietà e terrore che provoca, svela la fragilità del nostro cuore, che richiede di essere rafforzato e riparato. Certamente gli esseri umani possono riparare il tempio di pietre, ma il tempio del cuore solo il Signore lo può riparare”. Eventi drammatici, quelli dell’Emilia Romagna, cui aveva fatto riferimento il vescovo di Carpi, Erio Castellucci, nel dodicesimo anniversario del sisma che aveva sconvolto le province di Modena, Reggio Emilia, Bologna e Ferrara, colpendo pesantemente il territorio della diocesi di Carpi. Ferite profonde che segnano il ricordo delle vittime e dei crolli, mentre la ricostruzione prosegue il suo travagliato percorso.
Don Antonio Dotti, 50 anni, parroco dal 2020 alla Madonna della Neve in Carpi (MO), conosciuta come Quartirolo, durante il sisma del maggio 2012 stava vivendo il passaggio da parroco di Gargallo all’inizio del suo ministero a S. Pietro in Vincoli di Limidi (Soliera). Per 8 anni consecutivi – racconta don Antonio, che è anche responsabile del Centro missionario diocesano e assistente generale della zona Scout Agesci di Carpi – ho vissuto in un modulo abitativo, da terremotato, in un container dismesso, finanziato con il contributo dei fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica, per non lasciare la mia comunità, in quanto la canonica era stata dichiarata inagibile”.
Gli chiediamo di passare in rassegna i ricordi della precarietà e delle difficoltà di quegli anni, cogliendo l’emozione che trapela dalla sua voce e dal suo sguardo. “Intanto abbiamo perso don Ivan Martini, che nel tentativo di recuperare alcuni arredi sacri, era stato colpito a morte dal secondo crollo della chiesa parrocchiale di Rovereto sulla Secchia. La nostra è stata la diocesi più danneggiata dal sisma: tutte le chiese e i monumenti hanno riportato lesioni e questo ci ha costretto a pensare all’essenziale e a rivedere i programmi della pastorale. Poi è scattata la solidarietà regionale e nazionale, sono nati i gemellaggi con le diocesi: Carpi con Senigallia e Avellino, una sorta di debito di riconoscenza con la diocesi terremotata dell’Irpinia negli anni ’80. In estate sono riuscito a portare i ragazzi ai campeggi, vivendo la condivisione nel dolore, ma anche la paura che i giovanissimi assorbivano in famiglia, dove si parlava solo di scosse. Per ricostruire avevamo bisogno di denaro, che anticipasse i tempi della burocrazia istituzionale. Un rendimento di grazie speciale da parte mia va alle suore vicentine, le Poverelle del Beato Palazzolo”.
Federico Silipo, al tempo del sisma, era responsabile Scout Agesci di Carpi. “Conservo un ricordo intimo – confida – con tutto il sapore della fraternità. Quella mattina dello sciame mi erano arrivati tanti messaggi, ancor prima che potessi rendermi conto della portata dell’evento. Avevo bimbi piccoli e capi scout rimasti senza casa, che nonostante tutto non rinunciavano a portare avanti il loro servizio. Mi sono attivato per dare una mano in prima persona nell’area di Mirandola: montare tende, assicurare cibo, con il coordinamento della Protezione civile. Vedere amici provati, con le case crollate in campagna, dormire all’aperto, erano i segni tangibili del terremoto, oltre ogni danno materiale. I nostri programmi sono stati pianificati sulle esigenze dei più piccoli. Diversi gruppi scout non potevano avere accesso ai materiali danneggiati, quindi è cominciato il prestito da giugno a fine agosto, innescando una catena di solidarietà senza precedenti. L’anno successivo abbiamo cominciato a ragionare in termini differenti: come formarci, come renderci disponibili a tutte le necessità della chiesa locale. Don Antonio Dotti ha collaborato con noi come vice assistente scout di Limidi.
Abbiamo fatto tesoro di una tragedia nella necessità di camminare insieme quotidianamente.
Ci è stata riconosciuta l’umanità, lo spirito di adattamento e la capacità di dare conforto: un patrimonio nell’emergenza, con tanti scout accorsi da tutta Italia”.
Anche il mondo del lavoro in campo
Del resto sono tante le voci che non salgono alla ribalta delle cronache, per scelte di solidarietà cristiana e spirito evangelico, azioni virtuose rimaste silenziose dopo il sisma: una multinazionale di Mirandola, ad esempio, ha messo in salvo persone dializzate dopo il crollo degli ospedali.
O come il caso della Chimar Q, azienda a conduzione familiare ubicata a Limidi di Soliera, che produce imballaggi industriali e offre servizi logistici. Oggi conta 600 dipendenti, gestisce un magazzino ricambi e spedizioni e 30 stabilimenti nel centro-nord Italia. L’amministratore delegato Marco Arletti, 46 anni, prova a ricostruire il terremoto dei capannoni e dei campanili. Nella nostra sede centrale, vicinissima a Carpi, e nello scatolificio di Cavezzo, nei pressi di Mirandola, gli stabilimenti sono crollati, ma siamo rimasti tutti illesi, nonostante fosse successo in orari di produzione. La prima azione è stata la messa in sicurezza di tutti i lavoratori, ci siamo allenati col tempo a vivere nella paura, con allarmi che suonavano di frequente, e portoni aperti. Poi la verifica statica e strutturale anche per danni non visibili. L’INPS ha predisposto la sospensione dei contributi fino a dicembre 2012, per dare liquidità, ma poi lo Stato ha chiesto la restituzione di questi contributi sospesi, che corrispondono a circa una mensilità. Come avremmo potuto pagare gli stipendi? Abbiamo coperto noi come azienda la parte di contributi con una manovra particolare. Siamo riusciti a ripartire con il lavoro, nella piena consapevolezza che ritornare alla vita normale significava lavorare innanzitutto. La regione con la normativa antisismica ha contribuito notevolmente alla sicurezza aiutando le imprese. Salvaguardare la continuità del lavoro con le misure correlate è la traduzione di sostenibilità: fare impresa significa interrogarsi sul tema della sicurezza sociale, ambientale, di governance. E stiamo lavorando per crescere ancora, affrontare nuove sfide di welfare ed essere vicini ai dipendenti oltre che ai clienti”.
Elisabetta Dotti, sorella di don Antonio, lavora invece all’ufficio tecnico del Comune di Concordia sulla Secchia e prova a fare un bilancio. “Nella mia esperienza personale e professionale – dichiara – mi sembrava di essermi ritrovata in una zona bombardata dalla guerra. Il nostro comune era rimasto senza municipio, senza chiesa, l’unica scuola agibile un asilo nido. Emblematico il contributo significativo della provincia di Trento nella ricostruzione della chiesa e annessi parrocchiali, le sale della comunità, la canonica e della città metropolitana di Torino per il Teatro di Concordia. Nella frazione di Vallata la chiesa è stata recuperata grazie alla donazione personale del vescovo di Cesena Sarsina, Douglas Regattieri. Oggi 401 edifici su 415 sono stati completati ”.
“I fondi pubblici – spiega infine l’architetto Sandra Losi, direttore dell’Ufficio diocesano per il patrimonio immobiliare di Carpi – sono stati assegnati in prevalenza alle chiese parrocchiali. Entro il 2026 riusciremo a far partire tutti i cantieri – sei previsti per il 2025 – con una ricostruzione che sarà completata a fine decennio ed è molto più lunga e complessa rispetto a quella residenziale, trattandosi di beni tutelati. Nel frattempo utilizziamo le sale di comunità, più confortevoli rispetto ai tendoni per le attività pastorali, e soluzioni provvisorie in 47 chiese per non creare dispersione. Andiamo avanti con tenacia”.
(di Sabina Leonetti – foto gentilmente concesse da don Antonio Dotti, Sandra Losi e “Notizie”)