Ad Acireale, dove le donne vittime di violenza tornano a sperare
Nel centro di ascolto antiviolenza Il Bucaneve e nella comunità Madonna della Tenda, consacrati e laici si spendono per aiutare le donne e i minori vittime di violenza e abusi. Anima delle attività e punto di riferimento è don Carmelo Raspa, parroco a San Giovanni Bosco di Acireale.“Non mi importa chi sei, dimmi solo se vuoi speranza”. È questo il motto che campeggia all’entrata del Centro Ascolto Antiviolenza Il Bucaneve (diocesi di Acireale) e che si concretizza nell’operato quotidiano di chi, consacrato e laico, qui si spende per aiutare le donne e i minori vittime di violenza e abusi.
“Non chiediamo la carta di identità ma intraprendiamo insieme un vero e proprio cammino della speranza, che parte da un primo ascolto e si snoda poi nelle varie tipologie di intervento necessarie in base alla situazione che si presenta – racconta don Carmelo Raspa, catanese, parroco dal 2013 della chiesa della “Beata Maria Vergine aiuto dei cristiani” a San Giovanni Bosco (Acireale) –: dallo psicologo al medico, dall’allontanamento in tempo reale da una situazione di pericolo all’assistenza legale, fino al reinserimento sociale e lavorativo.
Dall’accoglienza dunque vogliamo arrivare alla guarigione.
E molti sono i casi riusciti, molti i bei cammini avviati”.
L’accoglienza di donne e bambini in difficoltà qui non è una cosa nuova: comincia ben 29 anni fa su impulso delle suore della Madonna della Tenda di Cristo, nell’ambito dell’omonima Comunità che sorge all’interno della parrocchia di don Carmelo. Come servizio strutturato, però, il Centro Antiviolenza vero e proprio, nasce nel 2019 e svolge le sue attività in collaborazione con i servizi sociali del Comune di Acireale (CT), nei locali della Caritas.
“Il nostro è un lavoro di squadra, una vera e propria sinergia di figure: la mia, quella dei catechisti e delle suore, quella dei volontari, quella degli esperti medici e legali – va avanti don Carmelo che è anche assistente della Comunità Madonna della Tenda –. Alcune delle donne che giungono da noi, chi dopo una telefonata o una chat, chi in seguito a un’email o a un colloquio, risiedono nella Comunità stessa, in piccole case frutto di donazioni, e lavorano nei luoghi comuni, dunque nella cucina, nei bagni o come badanti, oppure si occupano della ristorazione per pellegrini e turisti che hanno bisogno di un pasto. Vi sono poi laboratori di ceramica e un orto per la coltivazione delle piante aromatiche. I casi più gravi, per i quali ci sono accordi col tribunale e con le forze dell’Ordine, vanno in alloggi protetti e sono accompagnate nel loro percorso con la garanzia dell’anonimato”.
Queste donne sono spesso mamme e anche il rapporto madre-figlio va ricostruito. “I bambini frequentano regolarmente, fuori di qui, la scuola, lo sport, l’oratorio, ma vi sono anche attività per loro all’interno della Comunità e attività congiunte con le loro mamme, proprio per ricucire ferite aperte, per tornare a progettare insieme un futuro”.
Anche i nomi contano:
il Bucaneve è un fiore che, nonostante il gelo, riesce a farsi strada,
emblematico di come la vita, tra mille difficoltà e asprezze, possa comunque rinascere. Così il nome della Comunità, intitolata alla Madonna della Tenda, sta ad indicare come questo passaggio può avvenire se c’è qualcuno che accoglie: la tenda rappresenta il grembo di Maria che, per prima, ha accolto la Parola.
“L’accoglienza nel tempo si è allargata a famiglie in difficoltà – va avanti il sacerdote e professore di esegesi biblica nelle facoltà di teologia di Catania e Palermo – e a famiglie e persone immigrate, quelle stesse che vediamo arrivare sui barconi”. Una sessantina gli ospiti attuali, ma le richieste sono in aumento perché il fenomeno della violenza contro le donne, che ha il suo primato proprio tra le mura domestiche ad opera di mariti, compagni ed ex (89 donne ogni giorno in Italia sono vittime di atti persecutori e 109 sono quelle uccise nell’ultimo anno, secondo le segnalazioni raccolte dalle questure), ha tante sfaccettature, alcune invisibili all’apparenza. “I segni della violenza fisica sono evidenti, non così quelli dell’interiorità ferita, sepolta dai silenzi, dal passarci sopra delle donne, in nome di un amore che non è amore, tanto che si sta pensando di avviare percorsi di prevenzione e formazione”.
“Anche qui, presso il nostro Centro, c’è silenzio, ma non sono le donne a stare zitte, loro, anzi, raccontano, a volte anche solo con le lacrime: il silenzio è quello di chi le ascolta senza giudicare. Ed è così che
rinascono fiducia, coraggio, speranza di nuove possibilità”.
(testo di Daniela De Vecchis – foto e video di Cristian Gennari / Agenzia Romano Siciliani)