2 Agosto 2024

A Terni, dove l’accoglienza fa ricco chi la riceve e chi la dà

300 studenti solo nell’ultimo anno, provenienti da 27 Paesi diversi. 28 gli insegnanti, tutti volontari. Così la "Scuola di lingua e cultura italiana", attiva da tre anni, è il cuore accogliente del centro storico di Terni, grazie alla fantasia pastorale del parroco di Santa Croce, don Roberto Cherubini.

Quattro giorni a settimana, per l’intero pomeriggio, la parrocchia di Santa Croce, nel centro storico di Terni, si trasforma. Le salette che ospitano il catechismo, la sacrestia, perfino l’aula liturgica diventano aule, pronte ad accogliere gli alunni della Scuola di lingua e cultura italiana. Attiva da tre anni, l’hanno frequentata circa trecento studenti solo nell’ultimo anno, provenienti da 27 Paesi diversi. Pakistan, Afghanistan, Argentina, Ucraina quelli più rappresentati, ma non sono mancati gruppi da Cuba, Colombia e anche dall’Africa, in particolare da Congo, Camerun, Nigeria. Gli alunni sono stati suddivisi in sei classi, di cui una riservata ai bambini, e hanno imparato non solo l’italiano, ma anche altri aspetti relativi al nostro Paese, come storia, geografia, educazione civica. Ventotto gli insegnanti, tutti volontari e «non necessariamente docenti di professione, ma persone che hanno dato la propria disponibilità e hanno voluto fare qualcosa per gli altri», sottolinea il parroco di Santa Croce, don Roberto Cherubini, ideatore dell’iniziativa.

Riduttivo chiamarla soltanto “scuola”. «La parrocchia è diventata un punto di riferimento non solo per l’apprendimento della lingua – spiega don Roberto –, ma anche per tanti altri aspetti e necessità, come ottenere dei documenti, sottoporsi a visite mediche, trovare un lavoro. Noi non abbiamo risposte a tutti i problemi, ma siamo pronti ad affrontarli insieme. Quello che offriamo è un sostegno umano, non solo cristiano. Alcune volte le risposte le inventiamo lì per lì». Santa Croce, allora, ogni giorno, è

«scuola di italiano, luogo di incontro interreligioso, mensa comune per le feste, casa nella quale far crescere i sogni

e dargli la consistenza dei sorrisi e degli abbracci, di sguardi felici, oltre che naturalmente luogo di celebrazione liturgica, di preghiera comunitaria e personale».

Gli studenti della scuola sono di religioni diverse. Ci sono i cattolici ma anche i musulmani, gli ortodossi, i sikh. «Durante l’anno abbiamo avuto la possibilità di festeggiare le varie feste religiose – racconta il parroco –, dando spazio alle tradizioni di tutti. La comunità parrocchiale, da noi, non comprende solo quelli che “vengono a Messa”, ma abbraccia tutti quelli che qui trovano un approdo di pace, uno spazio di amicizia e accoglienza, che si sentono “a casa”». Una grande festa c’è stata anche a giugno, con la consegna dei diplomi agli studenti. «Non rilasciamo un vero titolo di studio, ma un attestato che comunque per loro è importantissimo», spiega ancora don Roberto.

Quando si fa qualcosa «di autentico e sincero, nasce una sorta di rete di simpatia e il bene si propaga per attrattiva». Ne è convinto don Roberto, che spiega come gli immigrati giungano alla Scuola sostanzialmente grazie al passaparola, arrivando anche da altre località fuori Terni. «Ad alcuni abbiamo pagato anche l’abbonamento dell’autobus per consentirgli di venire e frequentare le lezioni», ricorda il parroco.

Diversi studenti erano analfabeti nella propria lingua madre e quella nel centro di Terni è stata la prima aula scolastica nella quale si sono affacciati nella loro vita. A raccontarlo è Daniela Foschi, responsabile della Scuola di lingua e cultura italiana, da anni volontaria con la Comunità di Sant’Egidio. «Sono diverse e difficili le storie di chi arriva qui – dice –. Questa esperienza è utile per loro ma ancor più lo è stata per me, mi ha cambiato, ha significato per me un superamento delle mie paure.

Tutto comincia con la scelta di vivere con la porta aperta, quella sulla strada e quella del cuore,

ovviamente… lasciando che chiunque possa entrarvi portando il proprio vissuto fatto di domande e di risorse». Perché ciascuno, prosegue, «è un misto di domande che pone e di risorse che può offrire. La sfida è metterle in comune e farle incontrare fra di loro, come quando il bisogno di imparare l’italiano di alcuni si è incontrato con il desiderio di altri di riempire il vuoto di senso della vita. Adesso c’è il desiderio di incontrare l’altro sapendo che l’arricchimento è reciproco».

(di Giulia Rocchi – foto gentilmente concesse da don Roberto Cherubini)

2 Agosto 2024
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