A Matera, con lo sguardo del buon samaritano
Parafrasando Carlo Levi si potrebbe dire che "Cristo non si è fermato a Eboli", ma è arrivato certamente a Matera. La locanda del buon samaritano, un emporio e un guardaroba solidale, due case d'accoglienza: sono solo alcune tappe di un "circuito della carità" messo in campo dalla comunità di San Rocco insieme al suo parroco, don Angelo Tataranni, e a una schiera di volontari e di generose famiglie.“Mettere tra parentesi la carità e l’attenzione agli ultimi non è mettere tra parentesi uno degli aspetti della nostra fede, ma è mettere tra parentesi il nostro stesso essere cristiani”. Don Angelo Raffaele Tataranni, classe 1960, parroco della chiesa di San Rocco a Matera, delle “periferie esistenziali”, come le chiama Papa Francesco, se ne occupa ogni giorno alla “locanda del buon samaritano”, struttura della città lucana al centro di un vero e proprio “circuito della carità”. “Quando sono arrivato, nel 2002 – spiega il sacerdote, ordinato nel 1990 – in parrocchia c’erano già alcune iniziative di attenzione verso le persone più fragili. Noi abbiamo cominciato ad accogliere dei fratelli in difficoltà, italiani e migranti. Inizialmente era qualche posto letto, che sono diventati una decina. Ora abbiamo due case d’accoglienza, una dedicata a Don Tonino Bello e l’altra alla Madonna della Bruna, quest’ultima dove sono ospitati detenuti in permesso premio con le loro famiglie. In più in un appartamento accogliamo una famiglia ucraina in fuga dalla guerra”.
La cura delle persone in difficoltà, nella comunità di San Rocco (4000 anime in tutto), prende diverse forme. Come l’Emporio Solidale “Il Granellino di Senape”, inaugurato nel dicembre 2022. “Già in passato – racconta don Angelo – assistevamo 500 famiglie, con la distribuzione dei pacchi. Ci siamo accorti però che quel sistema non dava dignità alle persone”. “Per questa ragione – aggiunge il parroco – abbiamo deciso, utilizzando il salone della parrocchia, di aprire questo spazio. L’emporio ricorda un supermercato, c’è il carrello, ci sono gli scaffali, non si paga in denaro, ma con un sistema a punti. È un modo grazie al quale le famiglie aiutate possono fare spesa secondo le proprie esigenze e in maniera per quanto possibile “normale”.
Solo nelle prime tre settimane di giugno 2023 sono entrate all’emporio 370 persone”.
Oltre a “Il Granellino di Senape”, il sacerdote e una quarantina di volontari gestiscono un guardaroba solidale. “Raccogliamo vestiti donati soprattutto dalle famiglie ma a volte anche da alcuni negozianti – spiega don Angelo –; viene fatta un’attenta scelta e vengono redistribuiti”. A giugno 2023, poi, ha riaperto la mensa dei poveri, intitolata come una delle case d’accoglienza a don Tonino Bello. “A causa dell’emergenza Covid – dice il parroco di S. Rocco – negli ultimi anni abbiamo fatto solo servizio d’asporto. Questa possibilità rimane, per esempio per chi ha una casa, ma ora prepariamo anche 220 pasti a pranzo e a cena, che si possono consumare nel refettorio”. Una mensa in cui i volontari, circa una quindicina, non servono solo il cibo. “Dopo aver cucinato e distribuito i piatti – spiega don Angelo, ospite fisso della struttura quando non è impegnato con le attività parrocchiali –, noi ci sediamo con le persone, parliamo con loro, in altre parole condividiamo il tempo, le loro storie e le loro preoccupazioni”. Una pluralità di opportunità, quelle messe in campo dalla parrocchia di San Rocco, che sono state una risposta a una situazione che è diventata sempre più grave. “Rispetto al passato – specifica don Tataranni – i numeri sono nettamente superiori e la povertà e le fragilità sono diventate più evidenti”. Per mandare avanti questo “circuito della carità” si impegnano tanti parrocchiani, pensionati, professionisti, studenti (“alcune classi delle scuole della città vengono a fare questa esperienza di servizio” – dice don Angelo).
Tra chi lavora a stretto contatto con il sacerdote c’è Giuseppe Nicoletti, 49 anni e di professione bancario, che insieme a una decina di persone si occupa di coordinare le attività insieme a don Angelo. “Ormai otto anni fa – ricorda Giuseppe – un ragazzo romeno, che viveva di elemosina, mi ha chiesto se potessi aiutarlo a finire con quella vita. Mi sono rivolto a don Angelo, l’abbiamo aiutato e ho scoperto un mondo”. Di questo mondo, in cui Giuseppe ha coinvolto l’intera famiglia (“Mia moglie è responsabile delle catechiste mentre entrambi i miei figli sono scout, all’interno della parrocchia” dice), il volontario sottolinea l’essenza. “Quando accogliamo qualcuno – spiega – noi vogliamo che si senta in famiglia, a casa propria, tanto che una delle prime cose che diamo a chi viene da noi sono le chiavi. Noi non entriamo nelle stanze ma siamo presenti in caso di necessità”. Un’esperienza quotidiana, quella di Giuseppe, che gli ha insegnato tanto. “Ho scoperto innanzitutto la Provvidenza – confida –: diverse volte siamo arrivati con il conto vicino allo zero, ma poi c’è stato qualcosa che ci ha permesso di andare avanti. L’Elemosiniere del Papa però, quando l’abbiamo incontrato, ci ha detto che se abbiamo il conto vuoto vuol dire che stiamo facendo bene ”.
(di Roberto Brambilla – foto gentilmente concesse da Giuseppe Nicoletti)