A Catania l’abbandono scolastico si combatte in rete
Combattere la dispersione scolastica nella periferia etnea e costruire un tessuto sociale coeso e attento ai ragazzi. È quanto stanno facendo la parrocchia di don Fabio Vassallo, un istituto comprensivo statale e il comune di Catania, insieme all'Arcidiocesi e con i fondi dell'8xmille. Ma il ruolo chiave è quello dei volontari.Marco – il nome è di fantasia – non parlava con i compagni di classe, ma da quando frequenta il centro Rosario Livatino ha imparato ad aprirsi di più. I genitori di Sara – altro nome di fantasia – non potevano permettersi neppure di comprarle colori e quaderni per la scuola, ma al centro hanno fatto questi acquisti per lei. Poi c’è Giovanni, che grazie all’aiuto dei volontari sa fare le divisioni a due cifre. O Alessandra, che per la prima volta, in quarta elementare, seguita nello studio, ha preso un buon voto all’interrogazione di scienze. Non è solo sostegno nei compiti, quello che viene offerto nel dopo scuola intitolato al beato siciliano martire della mafia, aperto da qualche mese nella parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice e San Domenico Savio, nel quartiere di Librino, a Catania. Una periferia difficile, dove è alto il tasso di abbandono scolastico e dove la comunità parrocchiale, proprio per cercare di arginare questo fenomeno, ha messo su un oratorio e centro di studio, grazie alla Caritas diocesana di Catania e ai fondi dell’8xmille. Al momento lo frequentano venti bambini dagli 8 agli 11 anni, segnalati dalle scuole della zona, in particolare dall’Istituto comprensivo statale San Giorgio, che ha iniziato a lavorare in sinergia con la parrocchia, beneficiando di locali messi a disposizione dal Comune. Con loro, ogni pomeriggio dal lunedì al venerdì, dalle 16.30 alle 18.30, ci sono le volontarie Cristina e Filippa, aiutate dai loro figli più grandi, che quando possono danno volentieri una mano. «In questo servizio mettiamo innanzitutto la nostra esperienza di mamme – dice Cristina –, perché hanno bisogno di qualcuno che si occupi di loro, li accudisca.
Non si tratta solo di colmare le lacune scolastiche, ma supportarli, stare loro vicino.
Quando si sentono accompagnati, abbiamo visto dei risultati positivi, sia da parte dei ragazzini sia da parte di qualche genitore». I bambini vengono spesso da famiglie divise, in difficoltà. «Molti sono diffidenti – racconta la volontaria –, abbiamo impiegato un po’ di tempo a conoscerli, non si sono aperti subito. Di alcuni non conosciamo bene la storia familiare, ma dal comportamento dei bambini spesso si possono intuire i problemi. Ce n’era uno che proprio non voleva parlare, interagiva soltanto con mio figlio, nemmeno socializzava con i suoi coetanei. Ma piano piano si è aperto. Cerchiamo di stare loro vicino anche nel fine settimana, proponendo attività in parrocchia o nel quartiere. Ad esempio a Natale abbiamo organizzato una tombolata, poi c’è stata la festa di don Bosco, poi il carnevale…». Anche nei pomeriggi infrasettimanali, quando i bambini finiscono i compiti, si lascia «spazio alle attività ricreative e culturali, perché cerchiamo di stimolare in loro la curiosità e la gioia del sapere, che purtroppo nei giovani spesso manca». A sottolinearlo è il parroco di Santa Maria Ausiliatrice e San Domenico Savio, don Fabio Vassallo.
«Quando sono diventato sacerdote volevo andare in Africa in missione – ricorda –, ma ho capito che l’Africa ce l’abbiamo qui… In Quaresima vado sempre a benedire le case e talvolta per terra non c’è il pavimento ma il cemento, oppure abitano insieme tre o quattro famiglie, e certe volte non hanno neppure le porte, ma delle tende, per dividere le stanze.
La parrocchia si trova in un territorio difficile, di 12mila abitanti; i bambini che frequentano il catechismo sono 630.
I genitori di tanti stanno agli arresti domiciliari, chi in galera… Cerchiamo di stare vicino a tutti, non solo da un punto di vista alimentare ma soprattutto culturale». L’obiettivo è far capire a questi ragazzini che «studiare serve, che i sacrifici vengono sempre premiati», aggiunge il sacerdote. Gli fa eco Cristina, la volontaria: «Insegniamo loro che collaborare fa bene, che “chiesa” non vuol dire soltanto “messa”, ma soprattutto mettersi al servizio degli altri».
(di Giulia Rocchi – foto gentilmente concesse dalla Caritas diocesana di Catania)