56 anni nella stessa parrocchia: «La mia vita per la comunità»
Don Giuseppe Cipollini (86 anni) è stato direttore della Caritas diocesana e cappellano della Casa di reclusione di Massa Carrara. Nel 1987 ha avviato il Centro sociale Caritas con una mensa per i poveri aperta da 35 anni. Lui si schermisce e dice: «Vorrei essere ricordato come parroco»I suoi parrocchiani lo definiscono «un parroco eccezionale». Ed è soprattutto per la stima, la simpatia e la gratitudine che continua a suscitare che in tanti lo affiancano con il volontariato e cercano di alleviare almeno in parte le fatiche dei suoi 86 anni splendidamente portati. Don Giuseppe Cipollini, prete da 62 anni, rettore del Seminario diocesano dal 1975 al 1986 e da ben 56 anni guida della parrocchia della Madonna Pellegrina a Massa, sdrammatizza con l’ironia toscana: «Conosco un altro prete mio coetaneo che è ancora in servizio come me: lui fa il Papa, io il parroco» dice scoppiando a ridere.
Don Giuseppe è un pezzo da novanta nella diocesi di Massa Carrara – Pontremoli, retta da alcuni mesi dal vescovo francescano mons. Mario Vaccari che ha visitato di recente (come si vede in alcune foto della gallery) il Centro sociale Caritas aperto nel 1987 da questo energico prete originario di Fivizzano, al confine con la Liguria. «Su impulso di Paolo VI con la fondazione di Caritas Italiana – ricorda – tra gli anni Settanta e Ottanta sorsero le prime Caritas diocesane in tutta Italia. Anch’io nel 1987 visitai la Caritas diocesana di Roma, passai diversi giorni nella loro mensa dei poveri a Colle Oppio per capire come funzionava e come avviare questo servizio alle persone più emarginate e sole. Così anche da noi è nato il Centro sociale Caritas, reso possibile dalla generosità di tanti donatori e soprattutto dalla dedizione dei nostri volontari».
Qui ogni giorno una cinquantina di commensali trovano un pasto caldo e un sorriso. «Negli anni scorsi la maggioranza erano stranieri, nell’ultimo anno gli italiani sono diventati più della metà» racconta don Giuseppe. «Non abbiamo mai avuto bisogno di assumere nessuno: solo la nostra cuoca – spiega – riceve un piccolo rimborso spese per il suo impegno, ma tutti donano tempo ed energie. Grazie a loro siamo aperti tutto l’anno». L’attenzione ai poveri non si ferma al pasto e alla distribuzione di una novantina di pacchi al mese: attraverso un ascolto paziente e prolungato si cerca di rimettere in piedi le persone. «Molti chiedono in prima battuta un aiuto materiale, ma i veri bisogni sono altri: la maggior parte di chi si rivolge ai nostri centri – rimarca – ha problemi relazionali, mentre qui trovano una famiglia. E quando entrano in contatto con altre persone che hanno a loro volta dei problemi allora si creano amicizie e solidarietà: qui si sentono accolti».
Proprio per questa attenzione agli emarginati che ha contraddistinto tutto il suo ministero don Giuseppe venne chiamato a dirigere la Caritas diocesana di Massa dal 1995 al 2000, all’indomani del Convegno ecclesiale di Palermo (1995) sul tema “Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia” che avviò una nuova stagione della Caritas italiana dopo i primi 25 anni di vita.
Dal 2003 è stato poi per 14 anni cappellano del carcere di Massa. Un luogo, dice spesso, dove «si è sempre sentito a suo agio». «Le carceri, come del resto gli ospedali, sono luoghi delicati, dove è richiesta una grande sensibilità e il sapersi muovere in punta di piedi fra persone ferite dalla vita. In carcere mi sono sempre trovato bene – spiega sorridendo – nel senso che ho conosciuto un’umanità desiderosa di ascolto, e che apprezza chi dà loro attenzione. Ho toccato con mano collaborazione e rispetto anche con i detenuti di altre religioni: i musulmani ad esempio mi chiedevano sempre il calendario con gli orari delle loro preghiere, apprezzavano molto che appena me lo chiedevano io lo stampassi e tornassi a portarglielo». Il suo esempio ha reso molti confratelli sensibili ai temi della marginalità e del carcere. «Devo dire che nella nostra diocesi diversi preti si interessano alle Caritas parrocchiali, e anche alla realtà della Casa di reclusione di Massa: per molti anni – ricorda – ho invitato gli altri parroci a celebrare con noi in alcune ricorrenze e molti di loro venivano. Anche questo era un modo per sensibilizzare alla presenza di minorenni in carcere, o delle donne, alcune delle quali con bambini, o agli ergastolani». Due anni fa, proprio in occasione del sessantesimo anniversario dall’ordinazione avvenuta il 24 giugno 1960, ha ringraziato il Signore per i 60 anni di servizio al popolo di Dio. «Ho fatto il parroco tutta la vita. Se guardo alla mia vita, ora che ho 86 anni e mi avvio a passare il testimone ad un altro confratello,
tra i tanti incarichi ed esperienze vissute vorrei essere ricordato soprattutto come parroco. Un parroco che non si è chiuso in parrocchia ma ha cercato di contribuire al bene comune.
Ho promosso il cammino Neocatecumenale e lascerò a chi verrà una comunità con tanti gruppi vitali e con tante persone disponibili al servizio della Chiesa e al servizio dei più poveri anche negli anni a venire. E questo mi dà tanta speranza per il futuro».
(Manuela Borraccino)