17 Luglio 2024

Dossier. Arte e fede: da turisti a pellegrini

Attraverso l’arte cristiana, anche le persone più semplici potevano comprendere la storia della salvezza e sentirsi attratte dal Mistero. Ma non erano solo “didascalie” per analfabeti: quelle opere trovano pieno compimento nella liturgia, contribuendo a una partecipazione consapevole alla celebrazione. Ce ne parlano il direttore della Scuola di alta formazione di arte e teologia, il gesuita Jean-Paul Hernandez, e la condirettrice, Giuliana Albano.

Spesso ammiriamo le immagini sacre come splendidi capolavori d’arte, apprezzando forme, colori e tecniche senza considerare il loro vero scopo: essere ponti tra il terreno e il divino, strumenti pensati per la liturgia, la celebrazione e la preghiera. Tuttavia, quando visitiamo le chiese, ci limitiamo a identificare soggetto, autore, data e periodo storico dell’opera, trascurando di esplorare il profondo significato spirituale che esse possono trasmettere. In realtà, un’immagine sacra non può essere ridotta a un semplice strumento per interpretare il testo biblico o spiegare un concetto, né può essere vista solo come una catechesi o una “Bibbia dei poveri”. Rendere la narrazione biblica semplice e immediata attraverso l’arte è ciò che spesso si intende con “Bibbia dei poveri”. Questa espressione descrive le immagini in una chiesa o in un luogo sacro, come dipinti, affreschi, tele o sculture, disposte in ordine cronologico o tematico. Queste opere illustrano la storia di Gesù, Maria, un santo o episodi biblici, permettendo ai credenti di immergersi nell’esperienza della salvezza presentata dalla Bibbia. In questo modo, anche le persone più semplici possono comprendere la storia della salvezza e sentirsi attratte dal Mistero divino.

Architetture, dipinti, mosaici, sculture e oggetti liturgici avevano uno scopo educativo senza precedenti nella storia dell’arte. Queste opere cercavano di descrivere e trasmettere gli eventi biblici attraverso il linguaggio visivo. Grazie a queste rappresentazioni, i fedeli comprendevano il piano della salvezza e crescevano nella fede, nonostante il diffuso analfabetismo. È sbagliato però pensare che queste opere siano solo didascalie visive per i fedeli analfabeti.

La definizione “Bibbia dei poveri o degli illetterati” è incompleta se non considerata all’interno di un quadro teologico più ampio. Il termine, infatti, inizialmente indicava antichi libri devozionali illustrati, che collegavano l’Antico e il Nuovo Testamento attraverso immagini. Questi testi, molto diffusi, influenzarono profondamente l’arte, e presto il termine fu usato anche per descrivere le immagini nelle chiese. La “Bibbia dei poveri” era una raccolta di episodi biblici scelti con significato liturgico e catechetico, privilegiando gli eventi principali della storia della salvezza; le raffigurazioni non erano solo decorative ma servivano alla meditazione, alla predicazione e alla catechesi. Queste immagini aiutavano a ricordare i racconti biblici e a comprendere concetti astratti attraverso simboli concreti. Ogni immagine seguiva una logica precisa. Col tempo, specialmente nel Medioevo, la “Bibbia dei poveri” si evolse in “Bibbia Picta” con le nuove famiglie religiose che predicavano non solo a parole ma anche con immagini, portando a una proliferazione di raffigurazioni nelle cattedrali.

Oggi è difficile ricostruire quell’universo di idee perché molte opere sono andate perdute o sono state trasformate, e quelle esistenti spesso si trovano in contesti diversi da quelli originali, come nei musei, ma possiamo ancora percepire la “predicazione attraverso l’immagine”. Le grandi basiliche mostrano ancora l’originaria programmazione iconografica, spesso centrata su un tema principale. Ogni famiglia religiosa ha messo un proprio accento iconografico: per esempio, gli affreschi nelle chiese francescane trasmettono umanità, mentre quelli nelle chiese domenicane hanno un maggiore spessore teologico. La diffusione dei messaggi religiosi tramite predicatori itineranti, eremiti, monaci, canonici e chierici, insieme alla predicazione mirata alla propaganda della riforma ecclesiastica e delle crociate, ha portato questi messaggi oltre la cerchia clericale. Il Vangelo interpretato letteralmente e l’imitazione degli Apostoli erano punti di riferimento essenziali. L’esperienza religiosa consapevole divenne un modo per i laici e gli illetterati di accedere alla cultura, e questo cambiamento si riflette nella nascita dei cicli pittorici. Nell’immaginario dell’epoca, l’universo era visto come una manifestazione di Dio, e la Cattedrale come un microcosmo, rappresentazione dell’ordine universale. Le arti plastiche servivano come supporto per riflettere l’immagine di Dio.

Ecco perché guardare, contemplare un’immagine richiede un’esperienza che tocca la vita profondamente ed ecco perché il termine “Biblia pauperum” non riflette pienamente l’esperienza creativa dell’artista cristiano. L’arte cristiana è principalmente un’espressione di esperienza spirituale. Creare un’opera d’arte cristiana è di per sé un’esperienza spirituale. Quando l’artista dà forma visibile ai racconti biblici, rivela la propria relazione con Dio, andando oltre l’intenzione iniziale. Si potrebbe dire che un’opera d’arte cristiana è ciò che rimane di quell’intensa esperienza di Dio attraverso la creazione artistica religiosa. Come nelle performance dell’arte contemporanea, ciò che conta è l’evento creativo; ciò che resta è un ricordo, con un valore quasi sacramentale, come ad esempio nelle icone orientali. È un invito a ritornare all’esperienza originale che ha dato vita all’opera e a fare esperienza di Dio.

In conclusione, appare evidente che oggi è urgente ritrovare una via di senso per l’arte cristiana, reinterpretandola a partire dal contesto di fede che l’ha generata e vedendola come una “preghiera visibile”. L’arte cristiana sempre si lega a una comunità che vive la preghiera. Nelle chiese, le forme geometriche e le immagini sacre sono strettamente legate alla liturgia che esse accompagnano e quindi la preghiera liturgica è la chiave per comprendere molte opere d’arte cristiana. Queste opere “abbracciano” l’assemblea e fanno parte della liturgia stessa, perciò, l’arte cristiana è come una “mistagogia”, un modo per illuminare coloro che partecipano alla liturgia, creando un circolo in cui la liturgia dei vivi e l’opera d’arte si influenzano reciprocamente. L’opera d’arte spiega il significato della liturgia e allo stesso tempo è compresa appieno solo attraverso la liturgia. Nell’analizzare un’opera d’arte si parla del tempo come della “quarta dimensione”, il “tempo della percezione”. Un capolavoro svela i suoi segreti con il passare del tempo. Nell’arte degli spazi sacri cristiani, la liturgia rappresenta questa “quarta dimensione”. Solo la comunità che prega può veramente apprezzare l’opera d’arte, perché essa apre a una relazione viva. Questo è il cuore dell’arte cristiana: creare uno spazio per una relazione viva.

L’arte cristiana è una forma di preghiera visibile, una narrazione accessibile che racconta storie di santità. Contemplare un’opera d’arte significa entrare nella preghiera dell’artista e nella storia che essa rappresenta, creando una comunione spirituale attraverso i secoli. In questo modo, chiunque si avvicini a queste opere, da turista diventa pellegrino, scoprendo uno spazio che svela la propria interiorità, identità e vocazione.

(di Giuliana Albano e Jean-Paul Hernandez SJ)

 

 

NAPOLI: A SCUOLA DI BELLEZZA

La Scuola di alta formazione di arte e teologia della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sez. S. Luigi, è ormai una realtà affermata da quasi venti anni. Coerente alla scelta iniziale del 2006, l’obiettivo è stato sin dall’inizio centrare il rapporto tra arte e sacro, sia nella prospettiva storico-artistica e teologica, sia in quella della comunicazione, della comprensione e produzione dell’arte e dei suoi meccanismi propositivi e fruitivi. Un fil rouge ha segnato tutti i corsi attivati in questi anni: una conoscenza specifica e approfondita delle diverse espressioni artistiche, dall’arte visiva al cinema, alla musica, alla fotografia, alla danza, al teatro, al fumetto, fondata in una chiara visione teologica, in vista di una consapevole presenza nei più disparati settori applicativi dell’esperienza artistica connessa al sacro. Dall’anno accademico 2020/21 la Scuola offre un percorso di studi finalizzato al conseguimento del ‘Diploma in Arte e Teologia’, titolo unico in Italia. Diretta da padre Jean-Paul Hernandez SJ e dalla condirettrice Giuliana Albano, questa proposta formativa è un punto di riferimento per la promozione del dialogo tra le culture a partire dall’arte, indispensabile nella multiculturalità dei territori.

17 Luglio 2024
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