Dossier. Da credenti di fronte al mistero della morte
Don Luca Saraceno, docente di filosofia presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Siracusa, riflette sul nostro rapporto con i cari defunti. La preghiera di intercessione, l’Eucarestia, la visita al cimitero, rappresentano un pellegrinaggio che ravviva la speranza e rivela il senso delle tribolazioni.«Davanti all’enigma della morte, anche il credente deve continuamente convertirsi. Quotidianamente siamo chiamati ad andare oltre l’immagine che istintivamente abbiamo della morte come annientamento totale di una persona; a trascendere il visibile scontato, i pensieri codificati e ovvi, le opinioni comuni, per affidarci interamente al Signore che dichiara: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11,25-26)».
Sono le parole di Papa Francesco, lo scorso novembre, durante la Messa in suffragio dei cardinali e vescovi defunti nel 2020. La pandemia ha solo sollevato il velo sulla condizione in cui ci troviamo da sempre. Siamo mortali, creature fragili e vulnerabili. Nessuno di noi è eterno, esente dalle leggi dell’esistenza terrena in cui vige la dittatura del tempo.
La nostra vita ha un inizio e ha anche una fine.
Ha una durata: anzi è una durata, perché siamo fatti di tempo. E nutriamo la speranza di una vita che sia affrancata da ogni sua inevitabile cessazione. Siamo carne impastata di spirito, sangue e soffio, corpo e anima.
La morte è un levare gli ormeggi da legami, affetti e sentimenti terreni. Si salpa verso un’altra dimensione d’Oltre, dove la vita semplicemente non è tolta ma trasformata (cf. Prefazio dei Defunti I). Con la morte si compie il mistero pasquale di Gesù Cristo morto e risorto, grembo d’amore nel quale siamo già immersi fin dal giorno del nostro battesimo e dal quale emerge la gioiosa speranza d’essere un giorno con Lui in Paradiso (cf. Lc 23,42).
L’esperienza del Covid-19 ha persino aggravato il peso della morte, per via della solitudine in cui tanti pazienti sono stati relegati. Molte famiglie hanno vissuto l’amara esperienza del distacco senza neanche la possibilità di assistere i propri cari, di salutarli e di pregare per loro prima della chiusura della bara. Per molti, la morte è diventata una circostanza impersonale, fredda, asettica. Un’esperienza lontana dalla cura, dalla dedizione e dal clima di gentilezza mista a tenerezza che deve avvolgere un caro familiare o amico che ci lascia.
L’impersonalità e la solitudine della morte hanno tragicamente ferito migliaia di famiglie. Secondo la fede cristiana, però, non si resta mai soli: anche nel dopo-morte. Così, una serie di gesti concreti traducono l’idea che al distacco fisico, necessario ed inevitabile, corrisponda una trasfigurazione dei legami. Oltre alla celebrazione del funerale in chiesa, ci sono anche la sepoltura e la visita al cimitero. In quanto riti, si tratta di gesti collettivi:
stanano la morte dal suo rifugio di solitudine e dalla dimensione del privato per riportarla al cuore della sfera pubblica della comunità.
Insieme ai riti, anche il ministero della consolazione è proprio dell’essere credente e dell’agire credibile della comunità cristiana. Esiste infatti un’unica Chiesa a due volti, quella celeste che già vive la visione beatifica, e quella nel cammino della fede ancora peregrinante nel tempo: è proprio questa invisibile e indivisibile comunione dei santi a rendere ragione della straordinaria pietà riservata alla memoria dei cari defunti. Per questo continua incessante la nostra preghiera di offerta per la loro purificazione e ammissione al Regno del Padre: «Con sapienza la Chiesa ha posto in stretta sequenza la festa di Tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti. Alla nostra preghiera di lode a Dio e di venerazione degli spiriti beati, si unisce l’orazione di suffragio per quanti ci hanno preceduto nel passaggio da questo mondo alla vita eterna» (Papa Francesco, Angelus, 1 novembre 2013).
Anche per questo, pur nel rispetto di una libera scelta dettata dalle più diverse e oneste ragioni, è difficile assecondare l’idea di conservare in casa l’urna con le ceneri di un familiare. La Congregazione per la Dottrina della Fede, nell’Istruzione Ad resurgendum cum Christo (15 agosto 2016), ha ribadito alcuni punti propri della fede e della prassi cristiane a proposito di sepoltura dei defunti e di conservazione delle ceneri in caso di cremazione. Mentre si afferma la liceità della cremazione, emerge anche l’importanza della custodia delle ceneri in un luogo sacro come il cimitero. Si tratta di
un luogo che custodisce la memoria, non solo del passato per coloro che non sono più, ma anche del futuro di chi rimane.
Al passaggio angusto attraverso la soglia di sorella nostra morte i credenti sanno che seguirà l’incontro con Gesù Cristo nostro fratello e Signore Risorto. I cimiteri sono i dormitori dove chi ci ha preceduto nella fede dorme il sonno della pace, dal quale attende di essere svegliato al grido «Vieni fuori!» (Gv 11,43). Sono luoghi che custodiscono insieme la sacralità dei corpi e la salvezza delle storie dei nostri cari che tornano all’humus della terra, umile e feconda: verso i cimiteri ci si reca in un cammino che esprime il faticoso e affascinante peregrinare della vita, si fa visita ai nostri cari manifestando l’affetto per loro e si prega con loro avvolti in un silenzio traboccante di fiducia e di speranza. Là ci si reca per esprimere il paradosso del distacco e della comunione, che nella fede trovano una mirabile convivenza. Tutto questo svanisce se viene vissuto nel privato di una casa: nessun cammino per uscire verso l’altro, nessuna visita per andare a trovare qualcuno che ci è stato vicino ma ora non è più. Con il rischio di una mancata elaborazione del distacco e di non cogliere sino in fondo la dimensione della trasfigurazione del nostro corpo mortale nel nuovo corpo risorto con Cristo.
Il rapporto con chi ci ha lasciato ha davvero molto da insegnarci. Come diceva ancora Papa Francesco: «La preghiera in suffragio dei defunti, elevata nella fiducia che essi vivono presso Dio, spande così i suoi benefici anche su di noi, pellegrini qui in terra. Essa ci educa a una vera visione della vita; ci rivela il senso delle tribolazioni che è necessario attraversare per entrare nel Regno di Dio; ci apre alla vera libertà, disponendoci alla continua ricerca dei beni eterni».
(Luca Saraceno)