Conoscere la strada per vincere i pregiudizi
Una comunità parrocchiale romana che sorge a poca distanza da due insediamenti abusivi di nomadi, vicino al Tevere. Un vicinato senza dubbio scomodo, che però si rivela, per chi riesce ad andare oltre il pregiudizio, una miniera di umanità, di incontri, di relazioni arricchenti. Nella parrocchia di don Stefano Meloni questa è vita quotidiana, con un coraggioso progetto di integrazione tutto al femminile.Nel parco fluviale della Magliana, sulle sponde del Tevere, il fitto canneto nasconde le baracche dove vivono alcune famiglie rom. I bambini vanno a scuola saltuariamente. Le mamme si aggirano nella zona con vecchi passeggini e bastoni improvvisati, rovistando dei cassonetti, alla ricerca di qualcosa che i mariti possano rivendere. Una di loro ha quarant’anni, ma ne dimostra molti di più. Un’altra ne ha 22 e ha fatto una scelta controcorrente, per la sua comunità: non si è ancora sposata. «Non voglio fare la fine di mia madre, tutta la vita a mettere al mondo figli». Per un’altra ancora, invece, i bambini sono la ricchezza più grande. Ma una cosa le accomuna: hanno una grande voglia di imparare. Non sanno né leggere né scrivere, queste donne rom. Neppure il proprio nome, tanto che sono costrette a firmare con una croce. Alla loro alfabetizzazione sta pensando la parrocchia di San Gregorio Magno alla Magliana, che sorge a poca distanza da due insediamenti abusivi.
«Ci sono cinque professoresse volontarie e tre suore che fanno da insegnanti – racconta Deborah Foglia, responsabile del progetto e del centro di ascolto Caritas parrocchiale – e la cosa più bella è che mentre si fa scuola parliamo e ci conosciamo.
E quando si conosce l’altro, si abbattono i muri, si crea un rapporto
ed è meraviglioso». Il primo giorno di lezione, una rom è venuta accompagnata dal marito che non voleva lasciarla salire da sola. L’ha aspettata per un’ora e mezza seduto su una panchina, fuori dalla parrocchia. «Il nostro è un progetto di donne per le donne – prosegue la referente – che ancora di fatto non ha un nome. Pensavamo di chiamarlo “Cucire per ricucire”, perché l’idea iniziale era quella di insegnare a queste donne non solo a leggere e scrivere, ma anche qualche lavoro manuale, come il cucito. Loro lamentano spesso il fatto di “non sapere fare niente” e hanno una grandissima voglia di imparare. Al momento non si stancano affatto di stare sui libri, quindi con il cucito non siamo ancora partiti». L’iniziativa di San Gregorio Magno è «una goccia nell’oceano – ammette Foglia – ma
bisogna cominciare così, piano piano, un passo alla volta.
Non basta dare il pacco viveri una volta alla settimana; con i rom c’è bisogno di fare famiglia».
È un’idea di accoglienza ampia, a trecentosessanta gradi, quella portata avanti nella comunità su impulso del parroco don Stefano Meloni, arrivato quattro anni fa. La sua amicizia con i rom è iniziata ben prima, da quando, giovane sacerdote, cominciò a frequentare il campo di via Luigi Candoni, alla Magliana Vecchia, uno dei più grandi della Capitale, dove vivono più di 200 famiglie.
«Con i parrocchiani di San Gregorio Magno cerchiamo di essere presenti in tutti e tre gli insediamenti – spiega –, cioè nei due sotto al ponte della Magliana, vicino al Tevere, e a Candoni, dove andiamo almeno una volta a settimana. Ogni lunedì pomeriggio, poi, il centro di ascolto Caritas è dedicato ai rom, che ricevono il pacco alimentare, vestiario o altro. Loro sanno che possono venire da noi e che qui sono accolti». Quello che desiderano maggiormente, secondo don Meloni, «non è l’aiuto materiale, che pure serve;
la cosa che cercano di più è sentirsi ascoltati, rispettati per quello che sono, con la loro cultura e le loro abitudini.
Le popolazioni romanì hanno tante tradizioni che si portano dalla Romania, dalla Bosnia e dagli altri Paesi da cui provengono. Sono diversi anni, ad esempio – prosegue –, che organizziamo la Festa dei Popoli a cui partecipano anche loro, con balli tradizionali eseguiti dai ragazzi più giovani. È un piccolo inizio per cercare di far conoscere a noi per primi queste popolazioni e i valori che hanno».
Sui rom troppi sono i pregiudizi. «Tante persone li guardano con diffidenza, mentre a San Gregorio Magno sono di casa – dice il parroco –. Abbiamo portato i ragazzi che frequentano i gruppi giovanili al campo di via Candoni e sono rimasti sorpresi. Cerchiamo di offrire una vicinanza diversa». Si pensa perfino alle bombole del gas, aggiunge il parroco. «Stando nelle baracche, loro cucinano con le bombole; quindi c’è un volontario, Giancarlo, che porta in parrocchia le bombole vuote e gliele riporta piene».
(di Giulia Rocchi – foto e video di Cristian Gennari)