La parrocchia nella favela, argine e speranza
São Salvador da Bahia, o più semplicemente Salvador, è un ingorgo di anime e di storie, di contrasti stridenti tra ricchezza sfrenata e degrado. La parrocchia di don Andrea Perego, 36enne fidei donum di Milano missionario in Brasile, lavora senza sosta soprattutto per strappare i bambini dalla strada.Un prete italiano in una parrocchia con 500 anni di storia. Una terra animata dalle contraddizioni più vive: povertà e ricchezza che si intrecciano in un’unica città. Palazzi e negozi di lusso che si affacciano sulle viuzze pericolanti della favela. Un agglomerato che si estende a perdita d’occhio, una marea brulicante di abitanti di cui si è perfino perso il conto (si immagina sopra gli 8 milioni) e l’oceano maestoso, placido e ignaro, che abbraccia una terra verde e rigogliosa.
Siamo in Brasile, a São Salvador da Bahia, o più semplicemente Salvador, città a oltre 1600 km a nord di Rio de Janeiro. La ferita aperta nel cuore della città prende il nome di Plataforma, la favela più estesa. Nel cuore di questo ingorgo di storie e di anime, si erge la Paróquia Jesus Cristo Ressuscitado. Comunità cristiana che da dicembre accoglie don Andrea Perego, un sacerdote italiano di 36 anni, incardinato nell’arcidiocesi di Milano. L’urgenza di voler vivere la propria vocazione lo ha portato ad accettare un incarico in terra di missione, come fidei donum: sacerdoti diocesani, circa trecento ad oggi in Italia, inviati nei Paesi in via di sviluppo.
“Credo – dice Don Andrea -, faccia parte della nostra vita di preti il fatto di
essere sempre disponibili a qualcosa di nuovo e a donarsi costantemente”.
Salvador ricorda a don Andrea la natura e la ricchezza della Brianza, terra del suo precedente incarico. Le differenze sociali, però, qui raggiungono vette estreme, che accendono il territorio di forti contrasti. “È come avere la massima ricchezza europea e la povertà africana a stretto contatto dentro la stessa città – spiega don Andrea -. Palazzi residenziali di vetro di venti piani con palestra e piscina e, accanto, le baracche della favela”.
La città, attraversata da questi contrasti, continua a registrare un clima di illegalità diffusa. La comunità è troppo spesso teatro di episodi di violenza: domestica, sociale e legata al narcotraffico.
Il tumulto dei bisogni e delle richieste di aiuto che risuonano nei vicoli di Plataforma trova però un argine nella parrocchia, che qui si occupa di tutto: assistenza sanitaria, aiuti alimentari, abitazioni, lavoro.
La comunità riconosce questo presidio e si affida ai servizi che vengono offerti. Tutti sanno infatti di dipendere dall’aiuto parrocchiale per la sopravvivenza quotidiana. Il diffuso lavoro di assistenza è portato avanti da don Andrea insieme a un altro presbitero, don Davide Ferretti, sacerdote della diocesi di Cremona a Salvador da 4 anni. Un impegno che fa sì che ai due sacerdoti sia riconosciuta una certa protezione. La favela è infatti un ambiente di forte tensione: si registrano due o tre omicidi a settimana nella comunità legata alla parrocchia e non sono insoliti episodi di violenza in famiglia con i bambini esposti a situazioni di rischio. Si conta che un terzo delle bambine al di sotto dei 5 anni sia stata abusata in famiglia.
Le problematiche sono estreme: mancano strutture per l’assistenza sanitaria, manca un sistema di fognature nella favela e il territorio è sotto il controllo delle gang criminali.
La drammaticità della vita nel quartiere è un elemento di forte preoccupazione anche per la Chiesa brasiliana e i suoi sacerdoti, che addirittura faticano a svolgere il loro mandato a Plataforma. “Provengono – spiega don Andrea- da un ceto sociale solitamente ricco o agiato e culturalmente rifiutano la realtà della favela, che vivono come una profonda ferita sociale e culturale”.
Anche per questo motivo il ruolo dei sacerdoti italiani, qui, è determinante. La parrocchia distribuisce aiuti alimentari, la cosiddetta “cesta basica”. A supporto della popolazione, don Andrea aiuta nella gestione di progetti educativi e sociali. In Brasile non può mancare il calcio, utile strumento per canalizzare le energie dei ragazzi ed evitare che a dieci anni entrino di fatto nel giro del traffico di droga. La scuola di canto, chitarra e violino educa alla bellezza, alla precisone, al rispetto degli orari. La scuola di balletto è per le ragazze, perché riscoprano la cura di sé e del proprio corpo, l’igiene personale.
Si lavora senza sosta, al recupero dei bambini che vivono in strada.
Molti di loro, già da piccolissimi, sono lasciati a sé, spesso da ragazze-madri anche solo di 13 anni, e imparano velocemente a sopravvivere, unendosi in gruppi e bande. Il sostegno dato ai bambini e ai ragazzi della favela vede la collaborazione di tanti giovani della città che si organizzano in associazioni e si impegnano per un miglioramento delle condizioni di vita di tutti. Anche a supporto di queste forze di rinnovamento, la parrocchia svolge un ruolo vitale: l’argine si fa ponte verso il futuro.
(di Davide Scorza – foto gentilmente concesse da don Andrea Perego)