Una telefonata che cambia la vita: di un prete e di tutto un paese
Doveva essere una semplice raccolta di denaro e oggetti per i profughi di guerra. Una telefonata dal confine ucraino-polacco, invece, ha toccato l'anima di don Michele Cocomazzi e della sua comunità, nel cuore delle montagne abruzzesi, nella diocesi di Pescara Penne. La vita di 25 disperati è cambiata... e non solamente la loro.Ad occidente l’imponente catena del Gran Sasso, ad oriente la valle ubertosa del fiume Fino. Colli, ripe, fossi e valli, calanchi: il paesaggio è rude, avvincente per bellezza e varietà, sgomenta per l’andamento tortuoso della configurazione geofisica. Il panorama è a dir poco solenne: la vista riposa e lo spirito si eleva. Siamo sulla sponda teramana dell’arcidiocesi di Pescara Penne, nella forania di Castiglione Messer Raimondo, un borgo medioevale fortificato e caratteristico per la pietra arenaria locale, 2200 anime, il cui nome è legato a Raimondo Caldora, barone nel 1414. Qui il vicario foraneo, don Michele Cocomazzi, natio di S. Giovanni Rotondo in Puglia, classe 1987, è protagonista di una storia di accoglienza per 25 profughi ucraini.
“Non era mia intenzione occuparmene – confessa don Michele – sia pure nel timore di passare per un indifferente. Inizialmente avevo organizzato una raccolta fondi, destinata alla Caritas diocesana per aiutare gli sfollati.
Poi è arrivata la telefonata di un sacerdote, don Giovanni Carullo, provinciale dei padri orionini, per la difficoltà in cui versava il suo istituto al confine polacco-ucraino nel dare ospitalità ai rifugiati di guerra.
Tutto è cambiato.
“Una signora oriunda di Castiglione – continua don Michele – che frequenta la parrocchia romana degli orionini, si era resa disponibile nell’accoglienza di una decina di ospiti, in una casa di proprietà. Ma per contingenze familiari la disponibilità è venuta a mancare, con il disagio arrecato agli ucraini, ormai tutti in partenza, e ai miei parrocchiani, allertati sugli alloggi, benché perplessi a causa del tempo di permanenza dei futuri ospiti. E qui l’intervento della Provvidenza si è fatto più forte: ho ricevuto la lettera di un parrocchiano per un palazzo gentilizio già entrato nella proprietà di una Fondazione nata per la salvaguardia dei prodotti tipici locali, nella frazione di Appignano. Da dieci ospiti ne sono arrivati poi 25, in maggioranza donne e bambini con disabilità cognitive o psicomotorie.
È stata una gara incessante di solidarietà e generosità di tutta la comunità per riqualificare il palazzo, pulire e sistemare gli ambienti, arredare e allestire le camere”.
Dai primi di febbraio ne sono rimasti 13, di cui 4 adulti e 9 bambini, ma il palazzo signorile, che ha comportato spese ingenti per la manutenzione, è stato sgombrato, grazie alla concessione di alloggi popolari dell’ATER, ente provinciale di Teramo e del Comune. La promessa riabilitazione per i minori è garantita dall’Istituto Don Orione di Pescara e dalla carità della popolazione. Elodia Di Vincenzo, 62 anni, consigliera comunale, ammette che la pubblica amministrazione si è trovata impreparata con l’emergenza, anche psicologica, per le storie di morte e distruzione portate sulle spalle dai profughi, il terrore negli occhi dei bambini, ma il Comune con l’aiuto di enti privati non si è sottratto, facendosi carico come unicum nella regione Abruzzo.
“Non abbiamo qui precedenti di migranti – aggiunge don Michele – a parte pochissime famiglie dall’est, nord Africa e Asia, perché viviamo il dramma dello spopolamento dall’entroterra verso il mare o il nord Italia”.
Gli ucraini si sono messi a servizio della parrocchia – don Michele è parroco non solo nel santuario S. Donato Martire, ma anche a S. Giovanni Bosco e a S. Pietro Apostolo – e qualcuno è stato assunto. Luciana Colangelo, 61 anni, è titolare di un’agenzia di onoranze funebri: ad un papà ucraino di 37 anni, ha offerto la possibilità di lavorare nella sua ditta. Marito e padre di sei figli, sta curando il più piccolo affetto da idrocefalo. Monia Leone, 45 anni, lavora in fabbrica, nel tempo libero è catechista in parrocchia, ha dato supporto con la docente in pensione Franca Chiarelli per il corso di lingua italiana. E poi Caterina Lingeri, 75 anni. Lei si definisce diversamente giovane, iperattiva, coordinatrice del gruppo di prima accoglienza con una ventina di volontari. Guida ancora, e riporta, fiera di avercela fatta, l’avventura per raggiungere il più vicino ospedale di Giulianova occupandosi di un pronto soccorso. Anna, ucraina, infermiera, ha soli 30 anni. La sua bambina, 6 anni, è stata accarezzata da Papa Francesco (come testimonia la foto nella galleria qui sotto), è la mascotte di tutta la comunità ecclesiale di Castiglione. Le ucraine che soggiornano qui aiutano le famiglie nelle faccende domestiche, gli ucraini hanno anche collaborato nella raccolta delle olive. Olio che è stato spedito anche in Ucraina. Provengono da situazioni di sofferenza e abbandono, in paesi dove la cura parentale o dei disabili non è affidata alla famiglia, e spesso l’uomo si sottrae dalle sue responsabilità. Yulia, 38 anni commercialista, con due figlie di dodici anni, gemelle, anche lei ha difficoltà con la lingua italiana e attualmente collabora con don Michele Cocomazzi nella contabilità della foranìa.
“Il dramma della guerra, del freddo, del gelo, delle città rase al suolo, della perdita di affetti e dei propri beni, del razionamento di energia elettrica che i nostri ospiti hanno stampato in volto, sebbene alcuni di loro non provengano da territori bombardati, ci ha risvegliati dal torpore – confida don Michele -. Un’esperienza ecumenica di carità. Forse il Covid non è bastato, nonostante le vittime che ha mietuto nel nostro territorio”.
Don Michele Cocomazzi è anche incaricato diocesano del Sovvenire. “Nel 2019 abbiamo completato il restauro del nostro santuario dedicato a S. Donato Martire – prosegue -, nel 2023, grazie ai fondi 8xmille, inizieremo i lavori nella parrocchia S. Pietro Apostolo”.
“Riusciamo a raccogliere un buon gruppo di adolescenti per un cammino di fede – racconta ancora il sacerdote – mentre i giovani universitari sono fuori sede e gli adulti lavorano nelle realtà industriali (soprattutto carni e lettori di codici a barre), con la maggioranza degli anziani assistiti in casa. Se dovessi scegliere il fiore all’occhiello della nostra diocesi – conclude don Cocomazzi – senza dubbio è la Caritas, che riesce a gestire opere segno, come la casa per sieropositivi, la Cittadella dell’Accoglienza per i senza fissa dimora e le nuove forme di povertà realizzata dalla Fondazione Pescara Abruzzo con la Caritas di Pescara- Penne. Vorrei affidare a tutti questo messaggio di pace e di speranza: “la barca facciamola guidare al nostro Creatore.
Se ci fidiamo di Dio nostro Padre troveremo serenità nel bene dei fratelli.
In piccoli segni di carità si può scorgere l’opera di Dio, per poi arrivare a invocare la pace con l’amore donato e la preghiera universale”.
(di Sabina Leonetti – foto gentilmente concesse da don Michele Cocomazzi)