Dino Zoff e quella “bussola” che ti guida al bene
Campione del mondo nel 1982, oggi Dino Zoff ha 80 anni. Vi riproponiamo un'intervista rilasciata a Sovvenire quando ne aveva appena compiuti 79. Il portiere più amato dagli italiani ci ha parlato del proprio rapporto con la fede e con la preghiera. E ci ha raccontato di quella volta in cui incontrò Giovanni Paolo II…Origini friulane e contadine, da cui ha ereditato un’indole tenace, pacata, essenziale.
Ma come si fa a non perdere la bussola quando si diventa un personaggio di fama mondiale?
A me hanno sempre insegnato che bisogna essere se stessi. Ho avuto l’esempio della famiglia e della mia gente: essere qualcuno, mediaticamente, o non esserlo, non comporta niente di diverso. L’importante è avere la bussola che uno sente dentro. Quella della dignità e del vivere con delle regole.
Lo sport le ha insegnato a vincere e a perdere e, a giudicare dalla sua saggezza, lei ha imparato bene entrambe queste arti. Cosa è più importante nella vita?
L’importante è partecipare e cercare di fare le cose per bene. Nello sport come nella vita c’è una regola: il lavoro va fatto come Dio comanda, nei limiti delle proprie possibilità. Secondo me è più importante la lezione che può arrivare da una vittoria che non quella che arriva da una sconfitta. La sconfitta è chiara: hai perso, devi rifarti. Invece la vittoria è pericolosa. Molte volte può farti gonfiare il petto a sproposito, se non sai gestirla, e questo può fare molto male.
“Come Dio comanda”, ha appena detto. Che ruolo ha avuto la fede nel suo percorso di crescita?
Vengo da una famiglia religiosa. Forse non praticantissima… però nelle cose importanti mio padre, che ha fatto tanti anni di guerra, ha sempre ritenuto che il credere fosse determinante. Quindi sono vissuto con le regole, con i comandamenti della Chiesa. Ancora oggi per me la preghiera è soprattutto un aiuto. È la ricerca di un aiuto.
Lei ha voluto molto bene a Gaetano Scirea. Ci piace immaginarlo, per i viali del Cielo, a chiacchierare di calcio insieme a Enzo Bearzot, ma anche con Paolo Rossi e Mauro Bellugi, che li hanno raggiunti recentemente. Quale è il suo rapporto con la memoria delle persone care, che ci hanno lasciato?
È duro accettare che ci siano persone per bene che se ne vanno in giovane età, come Gaetano, ma anche come Paolo o Mauro. È difficile. Io però vengo dalla campagna e dalla natura ho imparato che ci sono dei cicli. A volte bisogna essere fortunati a finire il ciclo in un certo modo…
La solitudine del portiere è una delle immagini classiche nell’immaginario collettivo. In qualche modo ricorda un po’ la figura del prete, un uomo che sceglie la solitudine del celibato… per il bene di tutti. Ci sono figure di sacerdoti che nella sua vita hanno avuto una importanza speciale?
Beh, certo. Ricordo diversi sacerdoti con simpatia e grande affetto. Qualche altro un po’ meno… ma tanto non le farò nessun nome (ride). Il portiere è un uomo solo, è vero. Il prete in fondo no: ha un gregge molto più vasto!
Non capita a tutti di fare due chiacchiere con un santo. A lei è successo, quando fu ricevuto da quello che poi sarebbe divenuto san Giovanni Paolo II. Che ricordi ha di quell’incontro?
L’incontro con Papa Wojtyla fu straordinario. Mi prese da parte e mi chiese se io fossi stato il portiere. Io risposi di sì e il Papa mi disse che anche lui aveva fatto il portiere da giovane. E poi mi fece i complimenti perché era “un ruolo di responsabilità”. Quelle parole mi fecero un immenso piacere; non tanto perché avevamo giocato nello stesso ruolo, ma per l’amicizia che mi aveva dimostrato.
Oggi lei è nonno di due splendidi nipoti, Pietro e Clara. Quali sono le cose che vorrebbe che imparassero, per vivere bene?
Vivere bene è una parola grossa… L’importante è che crescano in salute, con dignità e voglia di far bene. Guardando ai giovani di oggi, e non mi riferisco certo a mio figlio e ai miei nipoti, io sono più preoccupato dei genitori che non dei ragazzi. Sono i genitori che a volte non riescono a dare ai figli il giusto quadro di valori.
Lei ha difeso la porta della nostra nazionale di fronte a Zico e Maradona. Qualche anno fa ha affrontato e sconfitto un altro avversario, diverso ma non meno temibile: una malattia che la tenne per diverse settimane bloccato a letto. Cosa possiamo dire a chi oggi sta affrontando questa pandemia e comincia ad avere paura di non uscire dal tunnel?
I virus sono pericolosi per tutti e bisogna cercare di salvaguardarsi. Il destino a volte ci mette nelle condizioni più difficili ma la fede e la speranza bisogna trovarle: questo è importante.
(intervista di Stefano Proietti / Foto AFP)
Una carriera leggendaria: portiere, allenatore e presidente
Campione d’Europa a 26 anni e del mondo a 40 suonati, nel 1982, Dino Zoff è un mito assoluto del calcio italiano e ancora oggi rimane “il portiere” per antonomasia. Personaggio schivo e mai sopra le righe, nella vita sportiva come in quella extracalcistica, le sue parate non concedevano mai nulla ai fotografi. Eppure gli hanno permesso di mantenere inviolata la porta della sua Juventus, nella quale ha militato dal 1972 al 1983, per 903’ consecutivi. Con i bianconeri è stato 6 volte campione d’Italia e ha vinto due Coppe nazionali e una Coppa Uefa. A Torino sarebbe tornato poi anche da allenatore, vincendo ancora una Coppa Italia e una Coppa Uefa. Anche la Nazionale italiana è stata guidata dal campione di Mariano del Friuli, che negli Europei del 2000 la condusse a un soffio dal titolo, perdendo la finale contro la Francia solo al golden goal. Nel corso della sua lunga carriera sportiva Zoff è stato anche, a più riprese, presidente della Lazio, oltre ad aver allenato la compagine bianco-celeste collezionando ben 202 panchine.