A Iglesias, la casa dove si impara ad accogliersi gli uni gli altri
Centinaia di persone sono state ospitate in più di un quarto di secolo nella Casa di accoglienza Santo Stefano, fondata e diretta da don Roberto Sciolla grazie all’aiuto di decine di volontari, operatori del Servizio civile e obiettori di coscienza e grazie ai fondi dell'8xmille alla Chiesa cattolica.Le mani afferrano pala e badile nel giardino della Casa di accoglienza Santo Stefano. E con altrettanta leggerezza sfogliano le pagine del Vangelo sull’ambone della vicina chiesa del Sacro Cuore Immacolato di Maria, nei pressi della piazza centrale del capoluogo del Sulcis. Con lo sguardo fisso alla Chiesa dei poveri e per i poveri don Roberto Sciolla, 74 anni, ha dato forma al suo ministero nel corso di quasi mezzo secolo. «Tutti sanno che di sabato pomeriggio il direttore viene qui, si mette la tuta da muratore e inizia a lavorare: è anche per questo che tanti imprenditori scelgono quel giorno per venire a fare volontariato qui» sorride Guido Carta, elettricista in pensione e da dieci anni uno dei più assidui volontari della Casa di accoglienza fondata alla fine degli anni ’90 da don Roberto, allora direttore della Caritas diocesana di Iglesias.
Originario di Fordongianus, nell’Oristanese, entrato in seminario a 11 anni, don Roberto Sciolla è stato ordinato sacerdote nel 1973 e, dopo 17 anni fra il servizio pastorale in parrocchia e il lavoro manuale come magazziniere alla Coop, nel 1993 l’allora vescovo di Iglesias mons. Arrigo Miglio (oggi neo-cardinale) lo chiamò a dirigere e sviluppare la Caritas diocesana, che ha poi guidato per vent’anni (dal 2003 al 2013 è stato delegato regionale delle Caritas Sardegna). «Una delle ricchezze che ho conosciuto in quell’incarico – racconta – è stato lo scambio di esperienze e buone prassi che stavano prendendo piede in altre diocesi. Così, in ascolto dei bisogni di Iglesias e nella lettura dei segni dei tempi, pensammo di dare vita a qualcosa di nuovo: perché in quegli anni non c’era in città una casa di accoglienza per persone che per tanti motivi non avevano un posto dove andare».
Da allora, dalla fine degli anni ’90, questa villetta adagiata sulla collina che domina il centro storico di Iglesias ha accolto centinaia di persone segnalate dai Servizi sociali, tossicodipendenti, detenuti in permesso o inviati a svolgere lavori socialmente utili. E con loro ha formato molte decine di volontari (sono circa una trentina oggi), giovani in servizio civile e obiettori di coscienza. «Ho cercato il più possibile – spiega – di trasmettere la prevalente funzione pedagogica della Caritas: l’attenzione ai poveri appartiene a tutti i cristiani, non è qualcosa di estraneo alla parrocchia per il quale dire mandiamoli alla Caritas, come se la povertà fosse una dimensione che non riguarda tutti i credenti. Per questo abbiamo dedicato tanta formazione sia agli obiettori di coscienza, che accoglievamo con la lettura e le conversazioni sulla Lettera ai giudici di don Milani, sia ai giovani del Servizio civile: parte delle ore di servizio erano dedicate alla formazione». Fino ad oggi la gestione della Casa della Caritas diocesana aperta 24 ore su 24, dove campeggia la statua con le braccia spalancate di Santo Stefano che sembrano voler accogliere tutti, si è retta esclusivamente sulla turnazione dei volontari e sulle donazioni di privati, oltre che sul sostegno dei fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica.
Da dieci anni parroco del Sacro Cuore Immacolato di Maria, don Roberto non cessa di formare i volontari attivi nella sua parrocchia ad un’attenzione che non si fermi alle richieste di aiuto materiale. «Molte persone chiedono aiuto economico – rimarca – semplicemente perché oggi c’è un’attenzione eccessiva al denaro e alle cose materiali, mentre ben altri sono i bisogni. Oggi vedo prioritaria l’attenzione alle povertà relazionali: famiglie sfasciate, dissidi fra coppie, fra genitori e figli, tra fratelli… Anche così nascono solitudini estreme, che talvolta mettono una persona in crisi se subentra la perdita del lavoro, un fenomeno purtroppo frequente in Sardegna, o l’insorgere di una malattia. Anche per questo non smetto di ripetere che questa casa è un luogo di accoglienza reciproca: siamo tutti accomunati dalla medesima precarietà della condizione umana».
Il suo sogno, chiosa, resta quello indicato da mons. Giuseppe Pasini (direttore di Caritas Italiana dal 1986 al 1996, ndr): «non con il molto di pochi ma con il poco di tutti si riesce a cambiare la società, ci diceva. Non servono grosse donazioni da parte di due benefattori, ma l’impegno di tutti per incidere sulla realtà e contrastare le cause della povertà».
(Testo, interviste e produzione del video di Manuela Borraccino – Foto, riprese e montaggio di Davide Toro)