18 Ottobre 2024

Nella “tenda”, dove la persona non è il reato che ha commesso

Don Francesco Palumbo, 58 anni, da tredici cappellano del carcere di Opera, nella Comunità pastorale Vistitazione della Beata Vergine Maria di Gratosoglio, periferia sud di Milano, ha voluto "La tenda di Mamre", una struttura destinata ai detenuti e alle loro famiglie. Non solo un luogo che rende possibili, per chi è in permesso, gli incontri con i congiunti, ma un'opportunità per cominciare di nuovo a sperare nel domani.

“Quando qualcuno fa del male ha in mano un coltello con due lame, una che ferisce la vittima, l’altra il carnefice”. Don Francesco Palumbo, 58 anni, vicario parrocchiale della Comunità pastorale Vistitazione della Beata Vergine Maria di Gratosoglio, periferia sud di Milano, da tredici è anche il cappellano del carcere di Opera. In questo contesto è nata “La tenda di Mamre”, rivolta ai detenuti e alle loro famiglie. “Il nome è un riferimento a un episodio della Genesi – spiega il sacerdote, nato a Busto Arsizio –. Mamre è la località dove Abramo nella sua tenda accoglie tre personaggi che poi si rivelano essere delle manifestazioni di Dio”.

Come Abramo, anche don Francesco e i volontari accolgono le persone, in particolare quelle che hanno ottenuto permessi premio, e i loro familiari. “Il progetto – racconta don Francesco – è nato dall’esperienza mia e dei volontari a Opera. Ci siamo accorti che i detenuti hanno bisogno di strutture e occasioni per i permessi premio, che per legge si possono concretizzare solo se le persone hanno un luogo per poterne usufruire”. “Ci sono già diverse realtà che svolgono attività con i detenuti – aggiunge il cappellano di Opera – ma ci siamo resi conto che chi vive il carcere spera, per varie ragioni, di poter uscire, ma poi fuori si ritrova da solo, perché la detenzione in molti casi rompe i legami. Per questa ragione il nostro progetto vuole accompagnare i detenuti in permesso, non solo offrendo loro, semplicemente, un luogo dove incontrare i propri cari, ma standogli accanto e aiutandoli anche a pensare al dopo”.

“La tenda di Mamre” è ospitata dalla parrocchia Maria Madre della Chiesa, una di quelle che compongono la Comunità pastorale di Gratosoglio, quest’ultima guidata da don Paolo Steffano, che ha messo a disposizione cinque stanze, in una delle quali abita proprio don Francesco. “La tenda vuole essere un luogo temporaneo, ma che sembri una casa” – spiega ancora don Palumbo.

Una scelta coraggiosa, quella di accompagnare i detenuti, in un momento delicato per l’istituzione carceraria. “A Opera, la mia attività di cappellano è fatta soprattutto di colloqui personali – riprende –. Parlando con i detenuti mi sono accorto che ci sono persone che durante il loro periodo in carcere hanno maturato una coscienza e una ricchezza umana che meritano di essere incontrate”.

Tra le persone che aiutano il cappellano di Opera, c’è Roberto, classe 1955, diacono permanente. “Il vescovo mi ha mandato per dare una mano a don Francesco – dice l’uomo, sposato e nonno di quattro nipoti –, io che ero già stato volontario in carcere una trentina di anni fa. Quello che La tenda di Mamre diventerà, di preciso non lo sappiamo ancora: stiamo muovendo ora i primi passi. Ad esempio, ospitiamo di tanto in tanto un detenuto che usufruisce di un permesso premio, generalmente di dodici ore. In più nella struttura c’è una persona scarcerata a luglio che non aveva una casa né una famiglia e che noi accoglieremo al massimo fino a gennaio, il tempo necessario per trovare un alloggio e un lavoro, perché la nostra casa è pensata per chi è in permesso, non come una struttura definitiva”. Persone con età e storie diverse, che vengono accolte da Roberto e dagli altri volontari. “Noi proponiamo delle attività – dice il diacono – come l’impegno per un paio d’ore nell’emporio solidale della parrocchia, ma loro poi sono liberi, in quel lasso di tempo, di fare quello che vogliono”.

Piccoli momenti di libertà durante i quali i detenuti, scelti dopo una lunga osservazione e conoscenza (“sappiamo chi può dare cosa” – precisa il diacono) provano a riadattarsi alla vita fuori. “Per dare un’idea – spiega ancora Roberto – ci sono persone sono entrate in carcere quando ancora non esistevano i cellulari. Soprattutto chi esce dopo lunghe pene, deve capire cosa può essere e cosa deve fare. Noi proviamo a esserci”.

Una presenza che parte da un presupposto. “Per un cristiano – prosegue il diacono – la persona non è il reato che ha commesso. Al netto delle responsabilità individuali, che ci sono e che spesso sono pesanti, c’è sempre del bene nelle persone. Il nostro obiettivo è sviluppare al meglio quel bene che c’è all’interno di ognuno. E poi le persone che hanno intrapreso questo cammino hanno fatto una scelta forte, mettendosi in discussione e cominciando una vita diversa”.

Un percorso all’insegna del bene da fare insieme a tutta la Comunità Pastorale di Gratosoglio. “Prossimamente incontreremo il gruppo giovanile della parrocchia – conclude Roberto – ceneremo insieme e vivremo un momento di scambio. Vorremmo far capire loro che questa realtà non è solo da guardare, ma da costruire insieme”.

(di Roberto Brambilla – foto da Chiesadimilano.it)

18 Ottobre 2024
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